Essere mamma e nonna nello stesso tempo. È stato questo il destino di Annie Caserly, 53 anni, inglese, che non ha esitato un attimo nell’acconsentire di portare in grembo e far nascere la bambina di sua figlia. Per nove mesi è stata lei a rimettersi in gioco, da madre, per offrire supporto alla figlia. Ora con orgoglio può affermare di essere riuscita nell’intento. Annie Trinity, la bambina di 3 chili e mezzo nata con parto cesareo, ne è l’esempio. In Inghilterra, non è la prima volta che succede. La possibilità di vedere una donna che presta il proprio utero alla figlia impossibilitata a portare a termine una gravidanza, non è una novità. Anche dal punto di vista legislativo la maternità surrogata è legale. Precisamente dal 1990. Ma la disciplina in materia fissa dei punti specifici: non sono ammessi fini commerciali e le organizzazioni che se ne occupano non possono fare pubblicità. È considerato accettabile prestare il proprio utero solo per altruismo o per amicizia e le madri surrogate possono ricevere soltanto un rimborso spese. Nel caso specifico Annie Caserly si è sottoposta all’impianto di embrioni della figlia affetta da una grave forma di patologia polmonare che non le consentiva di portare a termine la gravidanza. “La gente dona organi e fa qualsiasi cosa per i propri figli. Io in fondo ho solo dedicato nove mesi della mia vita a mia figlia che desiderava tanto un figlio ma non poteva averlo” spiega la mamma-nonna. “Mi fidavo solo della mamma, ho tre sorelle ma volevo lei, era una cosa troppo importante” racconta Emma quasi intimidita nel cullare la sua Annie Trinity. Il nome della bambina non è casuale, ma una metafora della vicenda. Annie il nome della nonna che l’ha portata in grembo, Trinity come testimonianza dell’amore delle tre persone dalle quali è stata concepita.