Che la pittura stia vivendo un periodo di rinascenza e un forte interesse da parte del collezionismo internazionale non è cosa nuova. Nemmeno il fatto che si tratti di pittura figurativa. Ma quel che sta suscitando il maggiore interesse da parte dei circoli artistici è un fenomeno che ha come protagonisti un gruppo di artisti New York based e gallerie leader come David Zwirner, Daniel Reich e Zach Fuer (LFL). neo-folk è la denominazione che la critica militante ha confezionato per questa nuova tendenza, che si contraddistingue non semplicemente per il ritorno alla pittura e alla figurazione, bensì per un particolare tipo di narratività che si esprime in un linguaggio pittorico apparentemente modesto, volto alla ricerca della gradevolezza e un po’ naïve. La levity of tone di questi lavori- la definizione è dell’artista Ridley Howard- testimonia indubbiamente il definitivo abbandono degli ideali utopici delle avanguardie – in realtà già trascinati via dal crollo delle ideologie negli anni Novanta del secolo scorso- ma testimonia anche un desiderio di schiettezza, moderazione, sensibilità, che per il critico del Financial Times Charlotte Mullis si è sviluppato parallelamente al cambio di umore da parte del popolo americano – dal sostegno alla diffidenza- nei confronti della guerra al terrorismo internazionale. La scelta di uno stile semplice, a tratti sgraziato, e la volontà di trarre ispirazione dalla cultura di massa -ma senza imitarla, come faceva invece la pop art- è dettata quindi da un’ esigenza di comunicazione con il grande pubblico -non più con una cerchia ristretta di autocompiaciuti happy few- ed è sorretta da un’ istanza etica che nella pittura neo-folk non scivola mai nel sociologismo artistico. Il ritorno a una maggiore compostezza in periodo di crisi e ansietà nazionale non è nuovo nella storia dell’arte. Ne sono un esempio l’abbandono delle sperimentazioni avanguardistiche da parte di Picasso dopo la prima guerra mondiale, o la collezione di arte degli emarginati e dilettanti accumulata da Dubuffet e presentata come art brut dopo la seconda guerra mondiale. Anche lo stile Biedermeier -al di là della connotazione negativa che assumerà con l’affermarsi degli ideali rivoluzionari del 1848- si affermò come espressione di limpidezza, cordialità e ideali domestici, in una società che manifestava un bisogno diffuso di tranquillità dopo i burrascosi avvenimenti dell’età napoleonica. Le opere di Benjamin Butler, Holly Coulis e Ridley Howard, presenti per la prima volta in Italia in questa mostra alla galleria Glance, mostrano una predilezione per i soggetti umili e legati alla quotidianità, in una sorta di sequela del giusto mezzo ciceroniano e confuciano che non è mai mediocrità, ma piuttosto sapiente abilità nel mescolare elementi stilistici della cultura alta con elementi stravaganti, sentimentali e sgraziati della cultura popolare. Traendo ispirazione dalle canzoni pop e dal cinema della Nouvelle Vague, dai romanzi di Francis Scott Fitzgerald e dai cartoni animati, da Alex Katz come dai maestri della pittura rinascimentale, Coulis e Howard rappresentano situazioni banali trasfigurate in una visione epica che si stempera in atmosfere surreali e nel sarcasmo verso le classi agiate protagoniste di questi dipinti. In alcuni lavori di Coulis che ha esordito nel 2002 alla LFL Gallery di New York, il ritorno alla natura sembra esprimersi nelle curiose e a volte improbabili interazioni tra uomini e animali, entrambi rappresentati con amorevole cura. La natura, la suggestione del paesaggio, in particolare di cieli vasti e senza limiti, conferiscono ai dipinti di Ridley Howard un aspetto straniante, perché alquanto improbabili nel contesto tutto sommato metropolitano rappresentato da questi dipinti. L’impressione è quella di un fondale scenografico allestito dietro i personaggi, che nei movimenti sobri delle loro interazioni e nella minuziosa rappresentazione dei dettagli – favorita dalla limpidezza dello sfondo- rivelano una forte attitudine cinematografica da parte dell’artista. La luminosità del colore, il tono contemplativo delle scene, la cura per il dettaglio -pur nella generale semplificazione formale- sembrano quasi voler richiamare la pittura del Beato Angelico e catturano l’attenzione dello spettatore chiedendogli di completare una narrazione appena accennata, proprio come in un brano di musica leggera. È difficile parlare di mondo inanimato per gli alberi dipinti da Benjamin Butler, che al di là di un severo equilibrio compositivo di ascendenza protocubista, comunicano un senso di forte vitalismo, attraverso la ricchezza del colore e della pennellata. Butler utilizza morfologie cezanniane semplificando la struttura del soggetto in spigoli taglienti, e riduce al piano i volumi come in una vetrata gotica. Una semplficazione formale che ricorda anche le lunghe sperimentazioni di Piet Mondrian nel passaggio dalla figurazione all’astrazione. Radicato nella terra e proteso con i suoi rami verso il cielo, l’albero è simbolo ancestrale della riconciliazione tra alto e basso. Un soggetto che rappresenta perfettamente e con sobrio misticismo la volontà di riconciliare cultura rurale e cultura urbana e di superare l’impasse postmoderna attraverso una feconda permeabilità tra modernità e tradizione. La Galleria Glance presenta: Benjamin Butler, Holly Coulis, Ridley Howard Fino al 2 giugno 2006 Galleria Glance Via San Francesco da Paola 48/E tel: +39 3489249217 info@galleriaglance.com www.galleriaglance.com