Buttarsi sui resti di una mummia che affiora dai ghiacci, afferrarla e sputarci sopra, non per un gesto istintivo bensì con la piena consapevolezza che la propria saliva sia un segno inequivocabile di riconoscimento. Non è la scena di un film horror. Ma è l’ultima puntata della storia che ha come protagonista la mummia di Similaun. Mentre infatti è ancora accesa la polemica e la controversia legale per attribuire la paternità della scoperta e l’eventuale attribuzione della ricompensa, un nuovo personaggio entra in scena. È Sandra Nemeth, una signora svizzera di Zurigo che attraverso una lettera inviata alla Provincia di Bolzano ha rivendicato, una dozzina di anni dopo, la scoperta di Oetzi portando a carico della propria posizione l’inequivocabile presenza sul reperto della propria saliva. Toccherà ora alla Corte di appello di Bolzano decidere se ammetterla come teste in un processo che dovrà stabilire una volta per tutte chi effettivamente ha individuato i resti diventati oramai un’attrazione turistica e scientifica internazionale. Due anni fa il Tribunale di Bolzano aveva decretato che a incrociare la mummia il 19 settembre 1991 era stata una coppia di coniugi tedeschi Erika e Helmuth Simon. Ma contro la decisione si era appellata la Provincia autonoma di Bolzano, proprietaria del reperto scientifico, muovendo ricorso contro la congruità dell’eventuale ricompensa da attribuire alla coppia. In verità una ricompensa di circa 50 mila euro è già stata data. Ma la cifra da più parti è sembrata inferiore rispetto all’effettivo valore della scoperta. Ed ecco allora le dispute. L’arrivo sulla scena di un nuovo personaggio non fa che aumentare il mistero sulle modalità del rinvenimento. Il test del DNA potrà fare luce, non certo placare le inevitabili polemiche.