Vi sto per narrare una storia ambientata nella città delle storie per antonomasia, Roma. La capitale della dolce vita, quella immortalata dalle pellicole di Federico Fellini e dalle immagini dei divi rubate dai paparazzi, e quella che nasce ogni giorno su ogni metro di una delle strade più affascinanti del mondo, via Margotta. Qui dal Seicento dimoravano gli artisti e ancora oggi si affacciano gallerie d’arte, botteghe di artigiani, negozi di antiquariato e piccoli atelier con romantici giardini. Sempre, dunque, cuore della creatività e dell’arte, legata al passato ma proiettata in una dimensione di cambiamento, questa via ci affascina ogni volta in modo diverso. E pensare che via Margutta, all’origine, era soltanto il retro dei palazzi di via del Babuino, dove si posteggiavano le carrozze e i carretti e dove si trovavano i magazzini e le scuderie. Dobbiamo ad un ignoto artista che istituì la prima bottega dove si facevano ritratti e fontane invece che fregi e ringhiere, la fiorente migrazione degli artisti (per lo più stranieri, fiamminghi, tedeschi, inglesi ma anche italiani forestieri) che sostituirono case e giardini a baracche e stalle. Il suo nome? Legato sempre all’arte: in un teatro di questa strada si recitavano le gesta del ciclo cavalleresco di Carlo Magno e del paladino Margutte. E via Margutta è anche l’Hotel Art che si confonde con le gallerie d’arte quasi a volersi integrare con lo spirito creativo che aleggia silenzioso. Percorro un lungo corridoio pavimentato di ciottoli bianchi e illuminato da un cespuglio di fili di metallo e puntini di luce. Quasi un passaggio segreto che termina nella Hall più originale che si possa immaginare. Infatti un tempo era la cappella di uno dei collegi più esclusivi di Roma, con le volte a crociera punteggiate di stelle dorate e l’altare schermato da un pannello di vetro blu. E poi le due uova di resina che ospitano la reception e l’office, simboleggianti la perfezione nella tradizione rinascimentale. Ma l’immersione nei colori che insieme al gioco di luci predispone al puro benessere, si conquista ai piani superiori dove mi perdo nel giallo, nel verde, nell’arancio e ancora nel blu. Non faccio in tempo a riprendermi dalla sensazione di essere in posto quasi irreale che noto ai lati dei corridoi versi di poeti come Lorca , Prevert o Weiss che guidano i miei passi in una luce fluttuante. Quasi stordita scendo al primo piano, gradini di cristallo precedono il pavimento del salottino che riproduce la pianta del Pantheon. Continuo a scendere per raggiungere la zona fitness e mi si para un opera di Paolo Giorgi intitolata “Muse e Amore. L’effetto cromatico e gli sguardi delle cinque muse potrebbero provocarmi la sindrome di Stendhal. Per questo continuo il mio viaggio nella luce e nei colori dell’Hotel Art ed un arazzo di Margherita Lipinska, “Il Rosso”, cattura il mio sguardo mentre attrezzature ginniche occhieggiano in un’aura tecnologica. Specchi e porte di legno biondo mi introducono nella zona sauna. Che calore benefico mi investe quando apro una delle porte. E’ bello sdraiarsi sulle doghe e star lì a sognare, ripensando ai versi letti nei corridoi. E poi per finire una doccia nel fiume……beh non proprio nel fiume…però i sassolini che mi solleticano i piedi e il getto dolce dell’acqua tra le tesserine brune, evocano il fiume o anche una cascatella…tutto può succedere all’Hotel Art. Per emozionarsi, tra colori, luce, arte.