Il lato oscuro, the “dark side”, di uno dei monumenti della Grande America viene fuori in un film-verità sconvolgente. Il Golden Gate Bridge non è solo il simbolo magico e misterioso di San Francisco, ma un’icona del Paese a stelle e strisce. A quanto pare però, il ponte detiene un triste primato, quello del maggior numero dei suicidi. Ogni anno infatti, sono molte le persone che decidono di togliersi la vita lanciandosi dalla balaustra del Golden Gate, un salto di quattro secondi a 190 Km all’ora per porre fine alla proprie sofferenze. Un numero imprecisato, che si ipotizza aver raggiunto, negli ultimi anni, quota mille.Nel 2004 Il regista Eric Steel, insieme alla sua troupe, ha trascorso l’intero anno a filmare il “ponte dei suicidi”. Le loro macchine da presa hanno tenuto d’occhio quasi ogni minuto di luce, riuscendo a filmare gran parte delle 24 persone che solo in quei 365 giorni hanno compiuto il “grande salto”. Le immagini sono accompagnate dalle parole di amici e parenti delle vittime, accorsi sul posto, e da quelle di passanti, automobilisti, ciclisti, ragazzi a bordo di un surf o di una barca che, improvvisamente, si sono trovati davanti la morte. Steel ritrae il ponte attraverso la nebbia, quasi fosse la barca di Caronte, e mostra le cadute spesso riprese da vicinissimo tanto da far vedere i volti delle persone un attimo prima del tuffo mortale.I principali protagonisti di The Bridge sono Lisa, Gene e Philip, che parlano per voce dei parenti e degli amici intervistati dal regista, creando un ritratto esaustivo delle fragili personalità di ragazzi che hanno deciso di togliersi la vita, come Gene, che continuava a dirlo a tutti, senza essere preso sul serio. O Lisa, affetta da una grave forma di schizofrenia, e saltava da un manicomio all’altro. O ancora Philip, convinto di essere imprigionato nel suo corpo, e che prima di buttarsi ha fatto una foto al ponte per lasciare una testimonianza della sua prospettiva. Poi c’è Kevin, che soffre della sindrome bipolare e sa che non guarirà mai. Anche lui voleva suicidarsi, ma una foca glielo ha impedito, traendolo in salvo. Ora, dopo aver riportato numerose fratture ed essere stato in coma, è l’unico che può raccontare cosa si prova.Il problema vero, e grande, che viene sollevato è quello della mancanza di barriere anti-suicidio. Ma oltre alla denuncia sociale, il regista vuole rendere omaggio a tutti gli scomparsi, a quelle persone disperate che vivono come “outsider” ai margini della società, a quelle persone afflitte dallo spleen, che l’opinione pubblica ha preferito, e preferisce, dimenticare.