È quanto rilevato da alcuni studi recentemente pubblicati, secondo i quali circa il 61,5/% (Rapporto Censis 2005) o il 59/% (Rapporto Eurobarometro 2005) della popolazione non conosce alcuna lingua straniera. Gli italiani si attestano così, neanche a dirlo, agli ultimi posti della classifica europea, in forte ritardo nei confronti di nazioni come Germania e Francia oppure Svezia e Olanda, dove il bilinguismo è ormai da anni un dato di fatto. Alle promesse degli ultimi governi di centrodestra e centrosinistra, impegnati a fare della promozione dell’inglese uno dei punti di forza dei programmi elettorali, non hanno peraltro fatto da contraltare risultati efficienti. Dal 2001 al 2005 gli italiani capaci di «sostenere una conversazione in una lingua diversa dalla lingua madre» sono diminuiti dal 46 al 36 per cento (Fonte Eurobarometro). Peggio di noi solo portoghesi e greci mentre anche la Spagna, fino a qualche anno fa sui nostri livelli, corre verso la media europea del 50 per cento circa. In questo cielo scuro emerge fortunatamente anche uno sprazzo di sereno. La Lombardia, infatti, regge il confronto con le medie europee, trainata da una Milano in cui Camere di commercio, aziende e scuole di lingua sono ormai riuscite ad attrarre nella loro orbita un gran numero di cittadini. Certo è che il problema non è da sottovalutare visto che ormai la conoscenza di una seconda lingua, dell’inglese in particolare, è condizione quasi indispensabile per comunicare all’interno della Comunità Europea a livello lavorativo. Insomma, dovremo “rassegnarci” a modificare alcune nostre abitudini in materia. Ad esempio meno spazio alla grammatica e maggior ricorso alla conversazione nell’insegnamento scolastico, utilizzo di film in lingua originale sottotitolati in italiano, un accesso più facile alle televisioni straniere via satellite o via web e soprattutto incentivi per permettere ai giovani studenti italiani di trascorrere periodi di studio all’estero.