Ogni anno, in Italia, circa 5.000 donne under 40 sono colpite da tumore1 e si stima che il tasso di sopravvivenza a cinque anni sia intorno al 65% superando l’85% per alcune neoplasie come i linfomi e il cancro alla mammella, traguardi impensabili in passato.
La preservazione della fertilità, attraverso la crioconservazione degli ovociti e del tessuto ovarico, diventa, quindi, un momento fondamentale del processo terapeutico dopo una diagnosi di tumore, soprattutto in un Paese come il nostro dove è sempre più avanzata l’età media delle donne che cercano il primo figlio.

Se ne è discusso a Milano nel corso dell’evento organizzato da IVI – Istituto Valenciano di Infertilità – che ha visto anche la partecipazione di Giulia Scaravelli dell’Istituto Superiore di Sanità e dell’Associazione Italiana Malati di Cancro (AIMaC), per ribadire l’importanza di diffondere la cultura della preservazione della fertilità nelle pazienti oncologiche.

Secondo un censimento realizzato nell’ultimo decennio dal Registro Nazionale di PMA dell’Istituto Superiore di Sanità, in Italia sono 3.519 le pazienti oncologiche che hanno voluto preservare la propria fertilità, delle quali 2.148 attraverso la crioconservazione degli ovociti (per un totale di 17.181 ovociti) e 1.371, invece, attraverso la crioconservazione di tessuto ovarico.

“La ricerca scientifica nella preservazione della fertilità ha raggiunto risultati incredibili, che fanno ben sperare per il futuro –  afferma Antonio Pellicer, Presidente IVI e Professore Ordinario di Ostetricia e Ginecologia presso l’Università di Valencia – Il gruppo IVI  è stato il primo a dimostrare che l’uso di ovociti vitrificati, rispetto all’uso di quelli in fresco, non modifica le percentuali di successo nei protocolli di riproduzione assistita; le percentuali di fecondazione, di qualità embrionaria, di impianto e di gravidanza tra ovuli in fresco e vitrificati sono, infatti, sovrapponibili. Grazie al nostro programma gratuito, dal 2007 al 2017, nelle nostre cliniche più di 1.200 pazienti oncologiche hanno preservato la propria fertilità senza dover sostenere alcun costo. Un dato, questo, che testimonia la volontà di supportare le donne, affinché possano guardare al domani con maggiore fiducia”.

Oggi più che mai diventa fondamentale diffondere la cultura della preservazione della fertilità e della prevenzione dell’infertilità nei pazienti e nelle pazienti oncologiche o a rischio di infertilità iatrogena. Da oltre dieci anni, infatti, l’Istituto Superiore di Sanità, attraverso il Registro Nazionale della Procreazione Medicalmente Assistita, ha avviato iniziative di formazione in tutta Italia per promuovere una corretta informazione sui potenziali rischi delle terapie antitumorali sul sistema riproduttivo.
“Di fronte ai dati presentati oggi – ha spiegato Giacomo Corrado, oncologo ginecologo della Fondazione Policlinico Universitario “Agostino Gemelli” – IRCCS – di Roma – appare chiaro come l’oncologo debba farsi carico non solo della sopravvivenza della paziente ma anche della sua qualità di vita, con uno sguardo attento al suo futuro e, per quelle più giovani, alla possibilità di avere figli. Inoltre, i dati scientifici dimostrano che gran parte dei farmaci utilizzati per i trattamenti chemioterapici in pazienti gravide al secondo e terzo trimestre è sicuro sia sul feto in via di sviluppo che sul bambino nel suo sviluppo tardivo”.

Con la vitrificazione degli ovociti è possibile crioconservare gli ovuli maturi ottenuti dalla stimolazione ovarica per usarli successivamente, quando la paziente deciderà, con le stesse possibilità di successo presenti al momento della vitrificazione. Vista l’assenza di formazione di cristalli di ghiaccio che questa tecnica permette, i tassi di sopravvivenza degli ovociti sono elevati e permettono quindi di posticipare la maternità con ragionevoli garanzie.

Grazie alla crioconservazione del tessuto ovarico è invece possibile ripristinare la funzione ovarica, consentendo di ottenere parti spontanei, riportando, inoltre, i livelli ormonali a valori normali ed evitando gli effetti secondari tipici della menopausa precoce. Questo tipo di procedura è sicura in tutti i tipi di tumore tranne che per le leucemie, dove è presente un rischio elevato di trasferimento di cellule maligne a partire dalla corteccia ovarica preventivamente criopreservata.

La crioconservazione del tessuto ovarico è una tecnica in via sperimentale rivolta alle pazienti con funzione ovarica a rischio: pazienti con diagnosi di cancro che saranno sottoposte a chemioterapia o radioterapia, colpite da malattie autoimmuni per le quali ci sarà bisogno di chemioterapia, in caso di trapianto del midollo osseo. E’ inoltre rivolta alle donne che corrono il rischio di subire ripetuti interventi chirurgici dell’ovaio, come ad esempio le pazienti affette da endometriosi.