La vita è fatta di scelte e, se si vuole avere una carriera di successo, bisogna fare sacrifici. Come rinunciare all’amore. Ma è davvero così? No, o, meglio, non più. CornerJob, l’app leader nel settore della ricerca del lavoro attraverso dispositivi mobili, ha attivato i suoi Counselor per identificare alcuni consigli pratici per mettere pace tra i conflitti interiori in questo ambito. Che possono essere utili a tutti noi. Sia nelle nostre “divise professionali”, sia nelle pantofole da casa. È notizia di questi giorni l’arrivo dei “manager della felicità”: che le organizzazioni aziendali abbiano finalmente capito che il proprio successo sia inevitabilmente legato all’autorealizzazione dei propri dipendenti? E una vita senza affetti può forse essere piena? Quindi cari HR manager questi consigli sono anche per voi. Da utilizzare e da subito tanto in ufficio, quanto nella vita privata.

1. La paura è legittima ma tutta dentro di te. Sicuramente la cronaca non aiuta. Ogni giorno si ascoltano storie di donne che devono scegliere tra maternità e carriera o di aziende che storcono il naso di fronte alla possibile assunzione di giovani a rischio gravidanza. E questo è un fatto. Così come è un fatto che, forse, certe posizioni professionali possano (ad esempio quelle che portano a lunghe e frequenti trasferte) incidere negativamente sulla vita di coppia. Detto questo non lasciare che la paura prenda il sopravvento. Perché potenzialmente potrebbe essere distruttiva su entrambi i fronti. Quindi tirala fuori, mettila prima sul tavolo di casa e poi sulla tua scrivania. Parla con il tuo partner per trovare il punto di equilibrio. Porta a un livello di consapevolezza comune il fatto che il tuo lavoro, oltre a darti lo stipendio, crea valore all’interno della coppia in termini di “qualità del tempo” (poco o tanto che sia) che passate insieme. E anche al lavoro, rimani aderente ai tuoi obiettivi di equilibrio. E comunicali. Così capirai se il tuo “non capirebbero mai” corrisponde a realtà o è solo una introiezione. E potrai agire di conseguenza. Se “non capiscono”, forse è tempo di organizzare un cambiamento. Indipendentemente dalla tua sfera affettiva.

2. Be smart. Lo smart working; molto predicato e poco praticato? Non più: in Italia nel 2017 è cresciuto del 60% rispetto all’anno precedente (Fonte: Osservatorio sullo smart working del Politecnico di Milano). Quindi, se sei un manager, considera la possibilità di introdurlo nel lavoro dei tuoi team: fai in modo che operino “per obiettivi” e non “per il cartellino”.  Se invece sei un semplice dipendente, comunica serenamente la tua esigenza di poter lavorare in remoto e di poter così ottimizzare la tua vita senza alcuna ripercussione sulla tua performance professionale. Se incontri scetticismo chiedi almeno la possibilità di provare. E a evidenza della bontà delle tue intenzioni presenta il fatto che lo smart working è foriero di vantaggi anche economici per le aziende che lo utilizzano.
3. Autorizzati a dire di no. Siamo nel 2018, il medioevo è passato da un pezzo e i supereroi non esistono. Se vivi una situazione professionale costellata da un crescendo di “extra” in termini di straordinari, sforzi e sudore, fai rientrare nel tuo vocabolario la parola “no”. L’azienda è un’organizzazione sociale che sa perfettamente autoregolamentarsi. Ma se non sei in grado di esprimere le tue esigenze, non puoi aspettarti la “lettura della mente” da parte dei tuoi superiori. Fai in modo che i tuoi “no” o “non posso” siano assertivi ma privi di impeto conflittuale. E non dire che non ne sei capace. Col tuo partner probabilmente ti vengono benissimo. E forse non sempre li merita.

4. Perfezione fa rima con frustrazione. Spesso il tentativo di coniugare vita privata e vita professionale porta a un crescendo di ambizione (corroborata anche da alcuni stereotipi sociali) che produce un distacco dalla realtà. Davvero ti interessa così tanto la ferrea ostinazione a essere “il migliore partner del mondo”, il “migliore professionista della tua azienda”, il “migliore di tutti i migliori”? Se si, hai un problema. In primo luogo perché ti stai mettendo in un tunnel di dipendenze che si alimentano reciprocamente. In secondo luogo perché, più pragmaticamente, non ci riuscirai. Pensa a te stesso in termini “olistici” e non come un agglomerato di diverse dimensioni della personalità. Fai pure correre i tuoi “voglio” ma accertati che siano davvero tuoi (e non aspettative altrui) e soprattutto rilassali con un bel “farò il meglio con quello che ho”. Al tuo partner le tue eventuali medaglie interessano solo nella misura in cui ti rendono felice. E non dimenticare che tutti i martiri, alla fine, muoiono.

5. Io, tu, noi. Quante volte ti sei tenuto dentro i problemi del lavoro convinto che al tuo partner non interessassero? Sicuramente troppe. È alquanto probabile che se, ad esempio, io faccio l’arpista e tu l’agente immobiliare sarà dura per te comprendere fino in fondo la mia ansia da report settimanale sugli ordini e per me la tua tensione da palcoscenico. Però c’è un territorio che si chiama noi. Ed è un territorio di ascolto e condivisione. In cui trovano uno spazio confortevole anche questi aspetti. Una relazione di qualità non deve essere fondata necessariamente su affinità elettive. Nelle stanze del noi più che cercare gli specchi è importante farsi guardare ed essere visti. Non rinunciare all’opportunità di farti conoscere anche nelle differenze dal tuo partner. A prescindere dalla percentuale di comprensione, guardarsi negli occhi dell’altro fa sempre e comunque bene. E se non l’hai mai fatto, oggi è il giorno perfetto per cominciare.