«Io non ho ucciso Meredith, non ho ucciso la mia amica e ho anche pensato di andarci, a Firenze, perché mi fa impazzire l’idea che qualcuno possa gonfiare il petto, puntare il dito contro la mia sedia vuota e dire che mi sono macchiata di un crimine che non ho commesso. Io posso capire che si possa costruire un’accusa, e una condanna, anche se manca la prova fumante, se manca il movente. Ma contro di me hanno esagerato». Nell’intervista al settimanale OGGI, Amanda Knox dice: «Dallo psicologo ci sono stata due volte, mia madre ha insistito tanto… Io non volevo, perché conoscevo solo gli psicologi del carcere e non posso dire che mi abbiano aiutato: pensavano solo a riempirmi di antidepressivi… La prima volta non sono riuscita a dire una parola. La seconda ho parlato per 15 minuti di fila e alla fine ho avuto un attacco di panico: non riuscivo, e non riesco ancora, a tirare fuori la tristezza, a cancellare la sensazione di essere braccata. Mi sento sempre come quegli animali che sono cacciati dagli animali più grandi. Dopo l’assoluzione, pensavo che sarei stata bene, che sarei tornata com’ero prima, allegra, spensierata. Cercavo di convincermi che stavo bene, che era questione di tempo, che la tristezza sarebbe passata. Ma non passava, la tristezza, i mesi scivolavano e io ero sempre spaventata, esausta. Ora ho accettato questo limbo, anche se forse ci tornerò, dallo psicologo. Neppure aver scritto il libro mi ha “curato”». «Io capisco gli inquirenti. Erano sotto pressione, dovevano trovare subito i colpevoli. Per me si sono fatti un’idea frettolosa e sbagliata del mio comportamento, della mia presunta freddezza, e hanno deciso che avevo qualcosa a che fare con l’omicidio: non sapevano cosa, esattamente, ma in qualche modo io c’entravo, ero colpevole e meritavo il carcere».«Io sono molto arrabbiata con il pm Giuliano Mignini e con gli investigatori, ma li perdonerei in un istante se ammettessero di aver sbagliato. Non devono neanche dirmi sorry, mi dispiace. Non voglio vendette. Sentirei una tale pace, se Mignini ammettesse di aver sbagliato».Dice Amanda: «Dire che sono innocente, significherebbe ammettere non solo che è stato fatto un errore, ma che è stato fatto un errore sopra un errore, sopra un altro ancora, e tutto per coprire un mucchio di altri errori. E gli investigatori, i giudici, non vogliono ammettere a se stessi e al pubblico di aver sbagliato. È una questione di reputazione… Ma la giustizia è fatta di esseri umani, e gli esseri umani possono sbagliare». Nell’intervista Amanda Knox dice anche di non sentirsi in colpa nel lasciare il suo coimputato Raffaele Sollecito solo nell’aula del nuovo processo, che si aprirà il 30 settembre. «In colpa? E perché? Io faccio di tutto per stargli vicino: ci sentiamo sempre, gli faccio coraggio, dico a tutto il mondo che è innocente. Come potrei aiutarlo, tornando? Lui soffre più di me, perché tutto questo – la condanna ingiusta, l’accanimento dei pm e dei media – glielo sta facendo il suo Paese, la sua gente. Ma io non ho alcun potere… Sono semplicemente la sua amica. Un’amica orgogliosa: ho saputo solo leggendo il suo libro, che gli era stato offerto di distruggere il mio alibi in cambio della libertà, e che lui ha rifiutato. È una persona straordinaria».È impossibile saperlo. Gli voglio un bene enorme. È rimasto questo, l’affetto, ed è importante… Lui ha detto a OGGI che a letto ero imbranata? Raffaele sa di cosa parla. Certo, avrei preferito che proteggesse di più la mia privacy». «Contattare i Kercher? Non ci sono ancora riuscita. C’è questo abisso di dolore che ci separa, che è cresciuto durante processo: non ho avuto il coraggio di attraversarlo. Milioni di volte, ho pensato di avvicinarli, e in milioni di modi diversi: non l’ho fatto perché ho paura che loro la considerino una strategia legale o mediatica. Non voglio che pensino questo di me.