Proiettati in una dimensione in cui il suono si fa metafisico, la drammaticità della voce di Dave Gahan può trovare finalmente pace. Ė proprio lo stridere tra organico e sintetico, tra il momento introspettivo dei testi e i battiti cyber di un elettro-pop d’autore, a connotare fin dagli anni ottanta il sound di un gruppo da sempre fedele a se stesso. Gli angeli tecnologici dei Depeche Mode sono i testimoni perfetti di un senso d’urgenza, di una volontà di testimoniare emozioni irrimediabile e catartica. L’elemento di speranza, infatti, è sempre presente lì, come una stella scura, a ricordare che “nothing’s impossible” – niente è impossibile. Quello che si può definire il complemento perfetto di una ipotetica trilogia di capolavori, dopo “Black celebration” e “Violator”, risulta quindi un puro estratto di Depeche Mode, grazie ad un gradevolissimo ritorno al passato che i fanatici dell’underground applaudiranno sicuramente. Il segreto di un prodotto così maturo e ben riuscito, in effetti, è il risultato di una fruttuosa pausa di riflessione da parte del frontman della band. Dave Gahan, dopo aver affrontato il tour mondiale di “Exciter” nel 2001, ha quindi assecondato la sua esigenza di sperimentarsi da solista nel 2003. Esperienza che lo ha incoraggiato a cimentarsi anche come mente compositiva, fino ad allora primato indiscusso del tastierista Martin Gore. Un album davvero “prezioso” insomma, come ci suggerisce “Precious”, il primo singolo estratto da un album destinato a consacrare i Depeche Mode nell’Olimpo delle band storiche degli ultimi decenni.