Dopo aver vinto il premio per il Miglior film al 53° Festival di San Sebastian, al suo secondo lungometraggio, Bohdan Slama esce il 12 maggio nelle sale italiane con “Una cosa chiamata felicità”. La storia è ambientata nel nord della Repubblica Ceca, un deserto moderno costituito da fabbriche e viadotti in cemento. Ed è in questa dura quotidianità che Monika (Tatiana Vilhelmova), Tonik (Pavel Liska, a mio parere il Johnny Depp di Brno) e Dasha (Anna Geislerova) sono cresciuti insieme. Diventati adulti si ritrovano divisi, ma allo stesso tempo uniti nel dolore, fra desideri, solitudine e fallimenti. Monika desiderosa ma allo stesso tempo incerta se seguire il fidanzato in America, Tonik ridotto ad una vita di stenti con la zia pur di allontanarsi dalla famiglia rigida e Dasha madre di due figli piccoli amante di un uomo sposato. La “normalità” si spezza quando i problemi mentali di Dasha peggiorano da doverla rinchiudere in una casa di cura. Tonik, segretamente innamorato di Monika, decide con questa di prendere in cura i due bambini. A queste “prove tecniche di famiglia felice” però incombe il ritorno di Dasha e la partenza per l’America di Monika… Certo la storia del film in un primo momento sembra stridere con il titolo, ma non è così. I tre protagonisti sono alla ricerca di “una cosa chiamata felicità” che purtroppo non sanno dove trovare. Non si rendono conto che nessun fattore esterno potrà donare loro la tanto agognata felicità perché questa è dentro loro se riuscissero a cogliere tutto ciò che li circonda con lo spirito giusto. Il grigiore che offusca ogni nota di colore, una macchina da presa alla continua ricerca di primi piani che possa cogliere le emozioni dei protagonisti e tanto male di vivere spingono lo spettatore all’immedesimarsi nelle vicende ponendosi l’interrogativo: riusciranno mai queste persone a trovare la propria felicità? Solo il finale potrà darci la risposta. Epilogo di una tragedia di vite fraintese o monito alla speranza?