La città sembrava appena uscita da un acquerello: i tetti rossi bagnati di pioggia, i canali increspati da barche lente, l’odore persistente di cioccolata nell’aria. Era novembre, e la nebbia sembrava voler proteggere segreti più che nasconderli.
Niccolò, 42 anni, pasticcere toscano, aveva chiuso la sua bottega di Arezzo per prendersi un mese di pausa. Non una vacanza, no. Una missione. Aveva trovato per caso una citazione su un blog francese: “La vera ricetta del cacao Van Hoorn è sepolta in una casa di Bruges. Esiste ancora.”
Aveva fatto lo scambio casa con una ex maître chocolatier belga trasferita in Provenza. L’abitazione che lo accolse era una casa stretta in mattoni, affacciata su un canale grigio e lucido. Il pavimento era irregolare, profumava di cannella e burro. In cucina, c’erano utensili di rame appesi alle pareti e un forno antico con sportello in ghisa decorato.
Ogni mattina usciva presto, armato di taccuino e impermeabile. Visitava piccole botteghe, archivi comunali, parlava con anziane signore che parevano sapere tutto e niente. Nessuno conosceva la ricetta. Ma tutti conoscevano la leggenda. “Van Hoorn era un genio, ma geloso. Dicevano che il suo cacao scaldasse anche i cuori rotti.”
Tre giorni dopo il suo arrivo, Niccolò trovò una scatola di latta nel ripostiglio della casa. Dentro, solo una chiave e un foglietto piegato in quattro: “Siediti dove il sole incontra il forno, e aspetta che arrivi il profumo.”
Passò ore a decifrare. Provò ogni stanza, ogni ora del giorno. Nulla. Poi una mattina grigia, mentre preparava la colazione, vide un fascio di luce attraversare la cucina. Illuminava una mattonella particolare, diversa dalle altre. Con la chiave, aprì un piccolo compartimento nel muro. Dentro, una busta di pergamena legata con spago cerato.
Era una ricetta. Ma scritta in rima. Misure approssimative, ingredienti vaghi: “burro come fiocchi d’inverno”, “latte dal suono profondo”, “zucchero che danza”. Una poesia. O un enigma.
Passò i giorni seguenti a sperimentare. Ogni tentativo era buono, ma nessuno perfetto. Finché, per caso, una bambina entrata con la nonna per chiedere se vendesse cioccolata, assaggiò un cucchiaino di crema. Sorrise. “Sa di coperta.”
Niccolò rise. Aveva trovato la ricetta. O meglio: l’effetto giusto.
Scrisse una lettera e la rimise nella scatola: “Non l’ho decifrata tutta. Ma è bastato il profumo.”
Quando tornò ad Arezzo, il suo laboratorio profumava di spezie nuove. E nella vetrina, tra i cioccolatini, un cartello: “Van Hoorn vive. Ed è morbido.”
