A Giacomo piaceva viaggiare in modo anonimo. Niente hotel, niente itinerari prestabiliti, solo un biglietto aereo, uno zaino fatto la sera prima e una casa trovata all’ultimo su un sito di scambio. Aveva lasciato il suo appartamento torinese – e la sua coinquilina che cucinava con la colonna sonora delle telenovelas – per una settimana sull’isola di São Miguel, nelle Azzorre.
La casa non era proprio come nelle foto. Era meglio. In cima a una strada piena di curve e galline distratte, con vista sul lago di Sete Cidades, pareti bianche e finestre verdi, profumava di legno vecchio e umidità gentile. C’erano ortensie ovunque. In giardino, sui bordi delle strade, dentro i vasi, nelle tazze. Giacomo non sapeva che si potesse soffrire di troppa fioritura.
Il padrone di casa aveva lasciato un biglietto: “Goditi l’isola. Se senti odore di zolfo, non è la lavastoviglie. È il vulcano.”
I giorni passavano tra bagni nei laghi termali di Furnas, colazioni con ananas freschi e silenzi così densi che Giacomo si era ritrovato a parlare con se stesso… e a darsi ragione. Una volta, mentre cercava la via per la piantagione di tè Gorreana, si era perso in una nebbia fitta e aveva scoperto per caso una chiesa abbandonata dove un vecchio suonava il clarinetto ai turisti invisibili.
La casa gli era entrata sotto pelle. Ogni sera tornava con i sandali pieni di fango e la testa vuota. Dormiva come non succedeva da mesi. Non perché non pensava a nulla, ma perché per la prima volta non doveva pensare a nessuno.
Una mattina, trovò nella buca delle lettere una cartolina scritta a mano. Era del tizio che viveva nella sua casa a Torino: “Qui piove. Ma il caffè è buono. Chi è questa pazza con le telenovelas?”
Giacomo rise. Poi preparò una tisana di erba locale di cui non sapeva il nome, si sedette sul gradino di pietra davanti a casa, e guardò il sole tramontare dietro le ortensie. Forse non era un viaggio da cartolina. Ma era il primo in cui si sentiva esattamente nel posto giusto.
