Era la prima estate in cui Lars non aveva prenotato niente. Nessun festival, nessuna tournée, nessuna scadenza. Solo una notifica su un’app di scambio casa: “Appartamento disponibile a Capri, vista mare. Pochi gradini. Molta luce.”

Si ritrovò, due settimane dopo, ad aprire le persiane di legno azzurro polvere di un piccolo salotto che odorava di lino caldo e limoni maturi. La casa era appesa alla roccia come una nota fuori spartito. Il pavimento di maioliche sembrava suonare ogni volta che ci passava sopra scalzo. Nessuno lo aspettava. E questa era la parte migliore.

Nel frattempo, Lucia aveva lasciato Capri per la prima volta in quindici anni. In valigia aveva messo un impermeabile (“perché dicono che piove anche d’estate”), un libro che non avrebbe letto, e un portachiavi a forma di corno rosso che le aveva regalato sua zia. La casetta di Bergen era tutta legno chiaro e silenzio. Al posto delle finestre, pareti di luce opaca. C’erano coperte su ogni divano e tazze per due in ogni stanza. Non capiva se fosse gentilezza o solitudine.

Lars camminava tra le scale di Capri come se dovesse imparare il respiro. Ogni pomeriggio si sedeva allo stesso bar, ordinava una granita al limone e guardava il porto come se potesse tradurre il rumore delle barche in qualcosa che valesse la pena suonare.

Lucia, a Bergen, faceva foto ai temporali e preparava zuppe con le cose trovate nei mercati coperti. A volte accendeva la radio e c’era jazz. Le piaceva l’idea che quella musica potesse essere anche di Lars, anche se non lo avrebbe mai saputo.

Quando tornarono ognuno nella propria casa, trovarono piccoli cambiamenti: una tazzina spostata, una canzone in playlist, una conchiglia sul davanzale. Niente che valesse una spiegazione. Ma abbastanza per lasciare l’impressione che, per qualche settimana, qualcuno avesse vissuto a modo suo in un’altra vita.