Ai confini del paradiso, premio per la Miglior Sceneggiatura al 60° Festival di Cannes (2007), narra le vicende di sei personaggi, le cui vite si intrecciano (senza che loro se ne accorgano?) in una spirale di eventi incontrollabili. Alla base del dramma la difficoltà di comunicazione tra genitori e figli. Ripercussione di questa incomunicabilità, nonché forza generatrice del film, la ricerca del perdono.  Il regista Fatih Akin, dopo aver realizzato La sposa turca, non aveva idea di cosa fare successivamente. Spinto dal “dover migliorare artisticamente”, Akin (insegnante all’università di Amburgo), scrivendo e dirigendo Ai confini del paradiso, ha voluto inserire un secondo tassello a ciò che lui stesso definisce una sorta di probabile “trilogia”, iniziata con La sposa turca, ed incentrata su tre temi: nascita, morte e amore. “Credo che tutte le guerre del mondo siano il risultato dell’uso sbagliato che l’umanità fa dell’amore. Credo che il male sia un effetto della pigrizia: è più facile odiare qualcuno che amarlo” afferma il regista desideroso di basare  il suo prossimo lavoro sul tema del male.  Ai confini del paradiso rispecchia molto lo scontro interiore, tra la cultura turca e la cultura tedesca, che lo stesso Akin vive. Nato ad Amburgo, da genitori turchi, il trentaquattrenne regista considera i suoi film una terapia: “ogni metro di pellicola che giro mi permette di capire qualcosa in più dell’amata-odiata Turchia”. L’istruzione e lo studio, come la stessa città di Istanbul, rivestono un ruolo centrale nel film da cui traspare un messaggio filosofico del cambiamento al quale si affianca un messaggio politico ben più preciso. Messaggio percepibile nel dialogo incentrato sull’ingresso della Turchia, nazione in cui la battaglia per la libertà di espressione è ancora in atto, nell’Unione Europea. Dal suddetto dialogo possiamo evincere una possibile visione di ciò che la gente pensa di questa eventuale e futura scelta.