La sveglia trilla all’alba, la moka borbotta allegramente e l’aroma di tostatura invade tutta la casa. Di certo, mentre vi coccolate con il primo abbondante sorso di caffè caldo, non pensate affatto all’impatto ambientale che questo rito da vestaglia ampiamente diffuso ha sul mondo. Eppure il caffè ha il suo costo per l’ecosistema, ed è possibile quantificarlo almeno in parte: le emissioni di gas serra per chilogrammo di caffè ammontano a 28,53 kg. Circa un terzo delle emissioni provocate dagli allevamenti di manzo, in cima alla lista.

D’altronde il 73% degli europei di età superiore ai 18 anni beve caffè regolarmente, soprattutto a casa dove il 78% dei bevitori di caffè lo consuma almeno una volta al giorno. Un rito incontestabile, quello del caffè, che non vuole saperne di scemare ma cambia forma, in parte accogliendo le istanze e le preoccupazioni di chi ha bene in mente il suo “dark side” socio – ambientale. Per la serie: la “tazzurella ‘e cafè” quotidiana è sacrosanta, ma ad alcune condizioni. Vediamo quali.

Come scegliere la tipologia di caffè più sostenibile
Si stima che la domanda di caffè nel 2050 sarà triplicata, uno scenario che potrebbe portare alla deforestazione incontrollata per far posto alle piantagione di caffè coltivato al sole. Per limitare l’impatto della nostra tazza di caffè dovremmo ambire allo status di consumatori consapevoli acquistando caffè della grande distribuzione che evidenziano i più importanti certificati in merito di sostenibilità e supportano progetti concreti di sostegno alle comunità produttrici.

Oppure puntare alle piccole realtà selezionate, come gli specialty coffee, che permettono di avere un controllo maggiore sull’intera filiera e spesso si affidano a piccoli produttori locali, premiandone il lavoro e rispettando l’ecosistema locale. Vale per le polveri e i grani destinati all’uso casalingo come per l’ordinazione al bar dove gli specialty, i monorigine e le miscele di nicchia sono sempre più diffusi.

Quali sono le certificazioni da tenere d’occhio
Esistono diverse certificazioni e non c’è uno standard unico. Tra le più diffuse:

Fairtrade che vincola i trader a contratti con il fornitore trasparenti, obbliga all’assunzione regolata da contratto, probisce ogni discriminazione sul posto di lavoro e garantisce una formazione di pratiche agricole sostenibili.

Rainforest Alliance che limita le coltivazioni intensive, la deforestazione e la distruzione dell’ecosistema nei paesi produttori. E determina un giusto costo del caffè al netto dei programmi di formazione, sanitari ed economici concordati con i produttori.

Carbon Neutral: per essere certificata Carbon Neutral, l’azienda è obbligata a sottoporre il proprio caffè ad un’analisi del ciclo di vita del prodotto per verificare che le emissioni di carbonio soddisfino gli standard richiesti.

B-Corp: le aziende certificate B Corp sono delle “for profit” che rispettano una serie di standard molti alti in fatto di performance ambientale, economica e sociale: dall’utilizzo di energie rinnovabili all’inclusione delle persone svantaggiate.

Le capsule (anche le compostabili!) sono sostenibili?
Un problema da porsi, dal momento che, In Europa, la macchina da caffè a capsule è al primo posto nella classifica delle preferenze per il consumo di caffè casalingo. Secondo un recente studio condotto dal Dott. Alf Hill, professore di Ingegneria Chimica dell’Università di Bath, la capsula è uno dei metodi di estrazione più ecologici: utilizza meno polvere di caffè di qualsiasi altro metodo, non ci sono sprechi di acqua e nemmeno di energia perché ne viene usata meno rispetto a quella necessaria per scaldare la moka sul fuoco o azionare il bollitore.

Il rovescio della medaglia sta nella capsule che, anche quando sono compostabili, e dunque gettabili nell’umido e completamente disintegrabili nell’arco di tre mesi, richiedono un maggiore utilizzo di risorse per la produzione e il trasporto. Un’alternativa consiste nelle capsule riutilizzabili fino a più di 200 volte e riempibili con il macinato preferito. A proposito di riutilizzo, se siete dei fan del caffè americano o dell’estrazione con metodo Chemex, puntate sui filtri in lino o in acciaio, lavabili e riutilizzabili a differenza degli equivalenti in carta.

E il french press?
Si tratta di un metodo di estrazione manuale e facile da eseguire che richiede la sola presenza di una caraffa con coperchio, dotata di filtro a stantuffo. Al suo interno la polvere di caffè viene lasciata in infusione, dai 2 ai 5 minuti, in acqua preriscaldata a 95°. Il filtro si lava e la caraffa funge anche da tisaniera. Se ne ottiene una bevanda dal sapore pieno e leggermente torbida per la presenza di qualche sedimento. Certo, l’acqua andrà pur sempre riscaldata azionando il bollitore…