É un romanzo, ma non è inventato. É la cronaca di un’esperienza, ma racchiude in sé tante storie intrecciate tra loro. C’è l’io narrante di un protagonista, ma la cornice è una coralità di personaggi. Calore è un libro da leggere, ma soprattutto da gustare. Basta lasciarsi guidare dalla narrazione appassionata e appassionante di Bill Buford perchè l’affascinante mondo degli chef diventi il pretesto per fare due passi a ritroso nella storia e nella cultura del cibo. Tutto comincia quando Bill, editorialista del New Yorker, decide un giorno di invitare a cena uno dei personaggi più esilaranti e geniali del popolo degli chef, il celebratissimo Mario Batali. L’incontro con questo incontenibile ambasciatore della cucina italiana a New York, “semplicemente ed energicamente onnipresente”, divo della food tv americana, patron di Babbo, il celebre ristorante italoamericano della Grande Mela, tristellato Michelin dal 1998 grazie alla recensione di Ruth Reichl, critica gastronomica del New York Times,  spinge Buford ad abbandonare scrivania e tastiera per reinventarsi sguattero nelle magnifiche cucine di Babbo. Ma la sua non è solo e semplicemente voglia di sentirsi chef per un giorno, a spingerlo è un’autentica fame intellettuale, ipoglicemia culturale; lui vuole guardare, capire quello che c’è dietro e quello che c’era prima, i come e i perché, significati e significanti della tradizione culinaria italiana, e, soprattutto, i protagonisti, mani, braccia, cervelli che regnano nel dietro le quinte.Dall’incubo della “dadolatina di carote” (“le carote in natura non sono cubiche, quindi bisogna prima rifilarle per dar loro la forma di un lungo rettangolo, poi le si affetta in tante lamine spesse un millimetro, poi si prendono le lamine e le si taglia in tante listarelle da un millimetro, infine si prendono queste impeccabili listarelle e zac, zac, zac, le si taglia a cubetti di un millimetro”), dalla magia dei profumi della cucina, l’apprendista decide che per appagare sul serio il proprio appetito culturale deve salire su qualche aereo e fare un viaggio nello spazio e nel tempo della gastronomia. É dunque l’inglese Marco Pierre White, maestro di Batali, geniale nel cucinare la selvaggina, amante dell’estetica e dell’espressione anche nella presentazione dei piatti, a svelargli i segreti della frollatura perfetta,  a narrargli l’abc delle salse adatte alla cacciagione, a confidargli le emozioni quasi “artistiche”che suscita una macelleria in tempo di caccia; ed è l’italiana Betta, regina della pasta all’uovo di Porretta Terme, rara esemplare di sfoglina ancora in vita, a rendere il secondo tour gastronomico nel Belpaese di Bill decisivo per imparare e mettere da parte, nel cuore e nel cervello, l’ingegneristica  e mostruosamente erotica arte dell’ombelico fattosi tortellino; ed, infine, è Dario Cecchini, il maestro della macellazione toscana, signore di Panzano in Chianti, raccontargli la tradizione chiantigiana , la genuinità contadina, rustica, di case di pietra e mangiate di carne , i cliché della tradizione toscana, accompagnandolo nel fantastico mondo della chianina doc. Insomma un vero e proprio corso di laurea, ben equilibrato tra pratica e teoria: tra una tirata col matterello e una disquisizione sulle origini della polenta,  tra una serata all’insegna di fritture incandescenti e una citazione de Lo scalco alla moderna di Antonio Latini a proposito del primo momento in cui, nella storia culinaria d’Italia, sono state introdotte le uova nella pasta, viene snocciolata con ironia e spirito critico la serie di avventure gastronomico-culturali di questo Indiana Jones “alla ricerca del culatello perduto”.  Un pout pourry di vita vissuta e curiosità, che si lascia leggere con piacere grazie alla capacità narrativa del protagonista-autore. Un gran bel libro, insomma, da consigliare a chi ama il cibo, la storia, la cultura, ma anche ai perplessi, che pensano al fornello come affare da casalinghe. Ma, soprattutto, da segnalare caldamente a chi ama la vita e sa viverla con intensità.