Dovevano solo fare uno scambio casa. Tre notti, nient’altro. Un esperimento: spegnere Milano, accendere la Lapponia.
“Per stare un po’ soli,” aveva detto lui.
“Soli da chi?” aveva pensato lei.
Marco e Alessia vivono insieme da cinque anni in un bilocale al quinto piano, con finestre che danno su cortili sempre in ombra. Avevano trovato l’annuncio per una smart cabin in Lapponia, progettata da un architetto finlandese che parlava poco ma sapeva usare bene il legno chiaro. Lo scambio era perfetto: loro volevano silenzio, la proprietaria voleva rumore urbano.
Appena arrivati, capirono due cose. La casa era bellissima. E nessuno li aveva avvisati della tempesta magnetica.
La cabina era dotata di ogni comfort: pannelli solari, camino a pellet, controllo vocale per luci e temperatura. Ma con la tempesta, niente rete, niente wi-fi, niente Alexa. Solo silenzio, e un cielo elettrico che sembrava volerli guardare dentro.
La prima notte non si parlarono. Lui si addormentò con gli auricolari, lei lesse per ore. La seconda notte prepararono una zuppa, e litigarono per il modo in cui lui tagliava il pane.
“Stai parlando al mio coltello?” chiese lui.
“Sto parlando alla tua maniera,” rispose lei.
Ma alla terza notte accadde qualcosa.
L’aurora esplose fuori dalle finestre. Una danza verde e viola, così vicina che sembrava filtrare dentro la stanza. Alessia uscì scalza sulla terrazza. Marco la seguì. Nessuno parlava. Il freddo pizzicava le caviglie, ma nessuno rientrava.
“Sai che non abbiamo mai guardato qualcosa insieme senza dire niente?” disse lei.
“Sai che non so cosa dire?” rispose lui.
Era la prima risposta sincera da mesi.
Quando la tempesta finì, il mondo si riaccese. Tornò la rete, i messaggi, i suoni del meteo. Ma nella smart home qualcosa era cambiato. La luce si regolava da sola, secondo un ritmo nuovo. I due iniziarono a fare le cose in silenzio, ma insieme.
Al momento di ripartire, lasciarono un biglietto sul tavolo, scritto a due mani:
“Tre notti senza interferenze. Finalmente.”
