“Ho steso come tovaglia una storia che riguarda me e questa nazione. Poi ho decorato la tavola con un paesaggio strano che appartiene alla memoria collettiva del nostro paesaggio novecentista. Mi sono messo ai fornelli col desiderio di sperimentare un discorso di stile basato sulla naturalezza. Come ingredienti ho usato la voglia di raccontare un film attraverso correnti emotive nascoste..”
Così Daniele Luchetti, regista di “Mio fratello è figlio unico” tratto dal romanzo Il Fasciocomunista di Antonio Pennacchi e scritto per il cinema con lo stesso Luchetti da Sandro Petraglia e Stefano Rulli.
E la cena (il film) è servita! Dobbiamo dire magnificamente. Perché “Mio figlio è figlio unico” trasmette emozioni autentiche vissute dagli stessi attori come se fosse qualcosa di vero. Sfila per un’ora e quaranta minuti un pezzo di Italia fatta di esclusi, di fratelli minori, di ragazzini di cui nessuno ha il tempo di occuparsi. Di ragazzi intelligenti che hanno preso la cattiva strada, che hanno obbedito a parole d’ordine efficaci e superficiali solo perché erano alla ricerca di una identità, di un amico che li ascoltasse, di qualcuno con cui condividere il proprio tempo. Questa la chiave “umana” e non necessariamente politica per leggere il film.
Un film di esseri umani che amano, soffrono, ridono e fanno anche politica:l’elemento umano, affettivo ed emotivo al centro di tutto.
Si racconta dell’Italia di ieri, ancora attualissima, presa senza retorica ma con il sentimento del quotidiano, con i piccoli fatti dell’agire umano. I due ragazzi di Latina, sono una piccola parte di un ingranaggio più vasto, sfuggente, indecifrabile.
Grande prova, dunque, di un cinema che è “dentro la realtà” e dal punto di vista dell’individuo.
Spicca per bravura e personalità nell’ottimo cast, Elio Germano, che con spontaneità e freschezza contralta con uno Scamarcio che interpreta se stesso.
Il tutto condito da una colonna sonora coinvolgente, scegliendo una strada semplice:”pensare all’efficacia delle scene, senza paura di usare canzonette”.