Nella grande casa in cui, magra, scalza, solitaria, la piccola Virgínia si aggira «in concentrata distrazione» i mobili spariscono un po’ alla volta, «venduti, rotti o troppo vecchi», e le porte si aprono su stanze in cui regnano «il vuoto, il silenzio e l’ombra».

Abbandonato nella vasta sala da pranzo – dove brillano «vetri e cristalli addormentati nella polvere» – c’è però un lampadario, unico sopravvissuto di antichi fasti: «Il grande ragno avvampava», e Virgí­nia «lo guardava immobile, inquieta, sem­brava presagire una vita tremenda. Quel­l’esistenza di ghiaccio». Ma soprattutto in­sieme a lei c’è Daniel, il fratello di poco più grande, che da quando è nata la consi­dera «solo sua», che la protegge e la tormenta, e con lei condivide straordinari se­greti: dal misterioso cappello che vedono scivolare lungo il fiume – e che immagina­no appartenga a un annegato – alla scato­la piena di ragni velenosi di Daniel, fino alla Società delle Ombre di cui sono gli unici membri.

Quando i due, cresciuti, la­sceranno insieme la tenuta di Granja Quie­ta per andare a studiare in città, i loro desti­ni si separeranno. E quando, dopo un’ar­dua educazione sentimentale, Virgínia de­ciderà di tornarci, capirà «che il posto do­ve si è stati felici non è il posto dove si può vivere»: sul treno che la riporterà lontano si accorgerà di essersi scordata di guarda­re il lampadario e saprà «di averlo perdu­to per sempre», così come ha perduto per sempre la sua infanzia miserabile e incan­tata.

Lispector narra questa struggente iniziazione alla vita con la sua lingua lussu­reggiante e visionaria: «attenta» ha scritto Franco Marcoaldi «al cuore che batte, al­la vena che pulsa, alla vibrazione cieca del sentimento nel corpo».

Clarice Lispector
Il lampadario
Adelphi