«Di quel grande nemico chiamato cancro ho studiato ogni dettaglio fino all’ossessione, ho pubblicato centinaia e centinaia di studi, sperimentato strade innovative per curarlo, consumato notti insonni per scoprire qualche suo tallone d’Achille… Alla fine, però, devo riconoscerlo: io questa battaglia non l’ho vinta».

E’ la “confessione” del professor Umberto Veronesi sul nuovo numero del settimanale OGGI, che dedica la copertina ai 90 anni del celebre oncologo (è nato a Milano il 28 novembre 1925). «Lascio il testimone alle nuove generazioni: non sarò stato io a sconfiggere definitivamente il cancro, ma so che la medicina un giorno ci riuscirà». Nell’esclusivo servizio fotografico pubblicato da OGGI, Veronesi è attorniato da figli e nipoti. E a tutti i ragazzi come loro indica i valori che lo hanno guidato nella vita:

«La libertà prima di tutto, intesa come rifiuto a farsi condizionare dal pensiero e dalle regole altrui. Poi il libero arbitrio, che della libertà è fratello. Inoltre la tolleranza e l’amicizia. È poi importante che coltivino la cultura, che li aiuterà a difendere la personale autonomia, e aggiungo la curiosità, che li spingerà a conoscere il nuovo. Infine, ma non da ultimo, devono essere portatori di pace. Pace sociale e risolutrice non violenta dei conflitti». E poi dice: «Perché avere paura dell’immigrazione? Non spaventiamoci, non sorprendiamoci, da sempre gli uomini cercano una vita migliore. Non possiamo evitarlo, ma soltanto prepararci».
Veronesi ha letteralmente rivoluzionato la chirurgia contro il tumore al seno, dimostrando che quella conservativa è in grado di garantire percentuali di guarigione completa identiche a quelle ottenibili con la mastectomia radicale (la rimozione totale della mammella).

«All’inizio, i  chirurghi di tutto il mondo volevano farmi a pezzi. Mi hanno chiamato folle. Eretico. Ho sperimentato momenti di autentica angoscia, prossimi alla depressione. Ma questa crisi interiore alla fine non mi ha piegato. Il mio obiettivo  era passare dal massimo trattamento tollerabile (la norma, a quell’epoca, negli anni Settanta) al minimo trattamento efficace».
La morte non gli fa paura. «L’ho vista in faccia così tante volte… La morte è solo una necessità biologica. Per lasciare spazio e risorse a chi verrà dopo di noi».