Sferzante e per niente equivoco il titolo italiano dell’unico libro di Rajiv Chandrasekaran: “Green Zone”. Ma cos’è la “Zona Verde”? Si tratta dell’area blindata di dieci chilometri quadrati nel cuore di Baghdad, dove le forze alleate hanno situato il loro quartier generale, al posto di quello di Saddam Hussein. Mentre fuori, tutto il resto è “Red Zone”, la zona rossa, quella fatta di anarchia, violenza e morti.  Dopo due anni di ricerche ed interviste, dunque, Chandrasekaran ha dato forma ad un prezioso documentario: l’esercito di occupazione americano si è installato nel palazzo presidenziale di Saddam Hussein, ma non è questa la storia. La scelta di fare guerra per il ritrovamento di siti contenenti le prove della fabbricazione di armi di distruzione di massa è un grande luogo comune. E quello che viene fuori da queste pagine è l’odio per l’Occidente, Italia compresa, che non fa che aumentare, in una terra violenta e desolata in cui la corrente elettrica non dura che poche ore al giorno, il lavoro manca per tutti, la gente fa il conto dei morti e comincia a pensare che, forse, quando c’era la dittatura non si stava poi così male.Questa la sinossi. Zona nord di Baghdad. Quattro kamikaze si fanno saltare in aria in un santuario. Quando Rajiv Chandrasekaran arriva sul posto, quel che resta dei cadaveri è già ricoperto da teli bianchi. Brandelli di corpi sparpagliati arrivano fino al secondo piano dei palazzi circostanti. Meno di un quarto d’ora dopo, nella Green Zone, il giornalista ne parla con un funzionario del contingente americano, ma questo è ignaro del massacro: era “troppo preso a lavorare per la democrazia in Iraq” per seguire le notizie. Ma è solo uno dei paradossi della guerra raccontata in questo libro: un reportage che somiglia a una spy-story per la vicenda al limite del romanzesco, per la carica di avventura e ironia, per i personaggi incredibili che lo popolano. E per la sua ambientazione, l’enclave americana a Baghdad: 10 chilometri quadrati di ex palazzi reali, piscine, cocktail, aria condizionata, corsi di salsa e yoga, due ristoranti cinesi e una mensa con personale musulmano che serve principalmente carne di maiale.L’impressione finale è quella di una dura requisitoria sulla decisione di imporre la democrazia in Iraq, specie sul modo insensato di condurre le operazioni militari da parte dell’amministrazione Bush negli Stati Uniti. Non solo. Le discrepanze interne alle varie agenzie governative statunitensi (come la Cia), sul modus operandi, e soprattutto sulle differenze tra ciò che realmente accade nel ‘campo di battaglia’, e ciò che viene dichiarato ai media, sono ben evidenti nell’omonimo film tratto dal nostro romanzo e diretto da Paul Greengrass, con Matt Demon nei panni di Roy Miller, soldato metafora di un’America senza memoria. Green zone
Rajiv Chandrasekaran
Rizzoli