Un romanzo sulla bellezza che consola e sulla guerra che non finisce mai davvero. Tra giardini giapponesi, segreti e silenzi: la poesia del ricordo
Ci sono romanzi che si leggono. E ce ne sono altri, più rari, che si contemplano.
Il giardino delle nebbie notturne di Tan Twan Eng, pubblicato da Neri Pozza, appartiene a questa seconda categoria: non si legge in fretta, non si dimentica in fretta.
Siamo sugli altipiani di Cameron, in Malesia, terra umida di pioggia e memoria. È il 1988 quando la giudice Teoh Yun Ling, ormai prossima al ritiro, torna nel luogo che un tempo ha chiamato casa: Yugiri, “giardino delle nebbie notturne”. Un nome che è già un invito alla sospensione.
Ma non si tratta solo di nostalgia. Yun Ling è braccata da una malattia neurodegenerativa, e con lei anche il lettore sente che la corsa del tempo è più feroce del previsto.
Nel ripercorrere i suoi anni giovanili, torniamo indietro fino al 1951, quando, reduce dai campi di prigionia giapponesi, cercava una forma qualsiasi di riparazione. La trova—paradossalmente—in un giardino giapponese e nell’incontro con Aritomo, enigmatico maestro d’arte e di reticenza.
🌸 Il giardino come trama invisibile
Tan Twan Eng non scrive, intaglia.
Ogni frase è un passo lento su un sentiero di ghiaia.
La sua prosa—ricca, levigata, mai affettata—offre al lettore uno spazio di meditazione, più che una semplice narrazione. E come un giardino zen, il libro nasconde significati sotto superfici semplici: la pietra, l’acqua, la sabbia diventano simboli di una memoria personale e collettiva, difficile da ordinare.
Yun Ling non è un narratore tenero. È ferito, duro, a tratti inaccessibile. Ma è proprio questa sua ostinazione a tenere viva la tensione emotiva del libro, anche nei momenti di maggiore silenzio.
🗝️ Storia, segreti, riconciliazioni imperfette
Nel romanzo convivono il peso della storia e la fragilità del perdono.
La Seconda guerra mondiale, il trauma coloniale, le ferite mai chiuse della Malesia sono lo sfondo di una riflessione sottile sull’identità, sul rancore e sul desiderio (forse illusorio) di pacificazione.
C’è anche un mistero, certo. C’è anche l’amore. Ma nessuno dei due ha la fretta del genere.
In questo romanzo le risposte non arrivano per soddisfare, ma per sedimentare.
🌿 Per chi è questo libro?
Per chi cerca una lettura che non intrattiene, ma accompagna.
Per chi ama Kazuo Ishiguro, Yasunari Kawabata, o semplicemente il silenzio delle parole ben scritte.
Per chi non ha paura di sedersi accanto alla sofferenza, sapendo che a volte, da lì, si intravede una forma più grande di bellezza.
