Nell’autunno del 2000, dopo aver trascorso cinque anni a Parigi, Adam Gopnik decide di tornare a New York in modo che i suoi figli, Olivia e Luke, possano crescere «nell’abbraccio dell’educazione progressista americana». Così, partendo dalla prima missione impossibile di metter su casa a Manhattan, Gopnik compone una panoramica a 360 gradi della contemporaneità nella Grande Mela, in cui le riflessioni sui «padri che si ostinano a correre » a Central Park mentre le «madri si sforzano di restare immobili», imbalsamate nelle loro posizioni yoga, e quelle sul vero segreto della nouvelle cuisine s’intrecciano con le riflessioni su come essere un buon ebreo o con la mania intellettuale di avere a tutti i costi un analista, mentre le digressioni sull’impermanenza della vita e sul problema della coscienza vengono sdrammatizzate nella fine hitchcockiana di un pesce rosso.
Una carrellata di personaggi reali e fittizi – dal famoso artista e curatore del MoMa Kirk Varnedoe a Charlie Ravioli, l’amico immaginario della figlia dell’autore – in un «antimemoir » del curioso mondo che circonda la famiglia Gopnik, un mondo in cui anche a fronte del drammatico 11 settembre tutto, o quasi, resta come prima: «come se la gente, dopo aver assistito all’affondamento del Titanic, abbia proseguito per la sua strada e sia tornata a casa facendo sentire ai familiari le mani ancora fredde per il contatto con l’iceberg».
Adam GopnikUna casa a New YorkGuanda