La lettura degli scritti di Umberto Eco segue scrupolosamente un piccolo cerimoniale: vecchia e comoda poltrona, mente sgombra, una tazza di thè, ovviamente il cellulare spento. Per la Bompiani, “A passo di gambero – Guerre calde e populismo mediatico”, pagg. 364, euro 17,50 non è uno squarcio letterario in una storia immaginata, ma un saggio di scritti pubblicati negli ultimi anni: una specie di terrore apocalittico per chi si appresta ad andare in vacanza. Eppure la questione che solleva l’intellettuale piemontese è stimolante: e se la storia stesse procedendo “a passo di gambero”? L’autore porta avanti un’amara considerazione: sin dalla fine dello scorso millennio si sono verificati drammatici passi all’indietro. Dopo la caduta del Muro di Berlino si erano dovuti riesumare gli atlanti del 1914, e da tempo le nostre famiglie ospitano di nuovo servi di colore, come in “Via col vento”. A poco a poco il videoregistratore ha rivoluzionato la televisione, trasformandola in un cinematografo, con Internet e le pay-tv Meucci l’ha avuta vinta su Marconi (telegrafia con i fili) e ora l’i-Pod ha reinventato la radio. Da una parte, è risorto il fantasma del Pericolo Giallo e, dall’altra, abbiamo riscoperto con l’Afghanistan e l’Iraq il sapore dei morti in battaglia, altro che guerra fredda: l’11 settembre ha risvegliato un insonnolito, ma ancora vivo, scontro tra Islam e Cristianità e la disputa risorgimentale tra Chiesa e Stato è diventata argomento da bar. I giocatori di calcio, bontà loro, rispolverano vecchi e mai dimenticati saluti romani mentre il Parlamento si sposta in televisione: siamo tutti vittime indifese del populismo mediatico e “dell’insipiente del villaggio”, tizio meschinamente normale che viene glorificato dalla sua apparizione sullo schermo. E se ci fermassimo? Gli orrori e gli errori di questo nostro mondo non spariranno certamente dopo aver sfogliato queste pagine ma, se riuscissimo a scorgere il barlume di luce oltre la nebbia, forse contenendo i nostri consumi, o forse astenendoci dalla violenza, piuttosto che riassaporare i desueti costumi del racconto orale solo allora riusciremmo a capire “divertendoci”, come suggerisce lo stesso autore in una sezione di questo libro provocatorio.