Giorno 1: Il vuoto nello zaino (e nel cuore)
Mi sveglio e il telefono non c’è. L’ho lasciato, volontariamente, in un cassetto chiuso. “Farà bene”, mi hanno detto. Il primo impatto è fisico: la mano si muove da sola verso il comodino, come un animale domestico che non sa che il padrone è partito.
Niente sveglia (ho usato un orologio vero, trovato in fondo a un cassetto che odorava di naftalina e passato remoto). Niente scroll mattutino. Niente mappe, mail, meteo, meme. Nemmeno il meteo! Esco senza sapere se pioverà. Mi sento un contadino del ‘700 con ansia da temporale emotivo.
Giorno 2: L’agitazione prende forma umana
Passo la mattina fissando le piastrelle del bagno. Non perché siano interessanti, ma perché non ho nulla da controllare. Ogni oggetto che trovo diventa un potenziale schermo: lo specchio, il tostapane, persino la lavatrice. Le notifiche immaginarie cominciano a farsi sentire: “Forse mi hanno scritto”, “E se ci fosse un’emergenza?”, “E se il mondo fosse finito ieri sera su Twitter?”.
Nel pomeriggio inizio a parlare con una fila di formiche in balcone. Do loro dei nomi. La più veloce si chiama Enrica. Mi piace che non ha bisogno del Wi-Fi per sapere dove andare.
Giorno 3: Le cose si calmano, ma non troppo
Il terzo giorno comincia con un pensiero semplice: sto respirando meglio. Nessuno mi chiede niente. Nessuno mi scrive. Nessuno mi manda vocali da 2:47 minuti in cui dice “vabbè senti, ti racconto da capo”. Ma la calma è sospetta. Penso: E se tutti mi avessero dimenticato?
Cammino. Osservo. Scrivo a mano. Nessuno mi può geolocalizzare, il che mi fa sentire sia libero sia inutile. Un piccione mi guarda con più considerazione del solito. Sono finalmente parte del mondo analogico.
Conclusione: il ritorno e il gran finale (spoiler: apro WhatsApp)
Recupero il telefono. Batteria al 3%. Zero chiamate perse. Tre messaggi, due dei quali spam. Nessun cataclisma. Nessun lutto. Nessun like straordinario.
Mi sento un po’ deluso. Speravo che l’universo si fosse accorto della mia assenza e avesse gridato il mio nome. Invece il mondo ha continuato a ruotare senza il mio pollice che scrolla compulsivamente.
Morale? Disconnettersi non cambia la vita. Ma la rallenta. La scompone. La svuota abbastanza da farci notare cose piccole. Tipo Enrica, la formica col passo deciso.
