Depositati al Viminale i simboli elettorali per le elezioni politiche di metà aprile. In totale, 177 simboli capeggiati in ordine di iscrizione dalla Lista del Grillo-no euro, confederazione di piccoli partiti vagamente orientati sul Grillo pensiero. Viene in mente l’immagine fantozziana delle sfinenti tribune elettorali dell’Italia pentapartitica anni settanta. Ma allora si parlava ancora in politichese puro, era il tempo delle convergenze parallele. Tutto un altro mondo? Alla fine sono state riempite sei bacheche e mezzo, un mosaico piuttosto variegato dell’Italia contemporanea, ancora impastoiata in bizantinismi e ridde ultraregionalistiche, rimasta fedele a improbabili mitici passati. Uno su tutti, l’ Italia popolare, con simbolo, spiegano se mai qualcuno non se ne fosse accorto, quello dei popolari sotto la gestione Bianco (qualcuno ricorda con evidenza quella stagione fondamentale post-dc). Quando si parla di passato, i due riferimenti immediati sono dc e pci. Scudocrociati e falce e martello esercitano ancora un certo fascino. Se il travaglio post-post-comunista è relativamente noto, abbastanza comica è invece la contesa tra tale Sandri, segretario della Democrazia Cristiana e tale Pizza di una fantomatica dc, per il simbolo scudocrociato. Alla fine Sandri ha denunciato Pizza per truffa aggravata.  C’è poi spazio per il consueto folklore locale. Si va dal “no monnezza campania-Partito animalisti ambientalista”, al decadente “Partito Impotenti Esistenziali”, passando per un patriottistico Paladini d’Italia, un Partito Internettiano, che vorrebbe internet patrimonio dell’umanità, nonché un “Veltro nuova alba” non si sa se di reminescenza dantesca o veltroniana.  Non può mancare poi la consueta sfilata di personaggi più o meno famosi, già in buona parte intruppata nelle grandi coalizioni: troviamo così, tra gli altri, un Non remare contro, di un sedicente Carmine Abagnale (non è stato appurato si trattasse del campione di cantoaggio). Emanuele Filiberto si chiama in causa nelle circoscrizioni estere con la lista “Valori e futuro”, mentre Stefania Ariosto è a capo del Pdd, partito delle donne. Il simbolo è la rosa, lo slogan un echiano “in nome della rosa”. Presenti anche i grandi partiti nazionali che, pur facendo parte di coalizioni, hanno comunque preferito depositare i propri simboli al fine di evitare ruberie e imitazioni. È il caso, ad esempio, di Prc, Verdi, radicali e Forza italia. Ora toccherà al Viminale spulciare e sfrondare una così vasta materia antropologica, salvo poi annessi ricorsi e ultima parola della Cassazione. Poi comincerà la vera competizione. D’altronde, finito Sanremo, mancava qualcosa per cui andare a votare.