In Italia si legge poco. Un messaggio, questo, che suona come un lamento e che non dice nulla di nuovo rispetto all’ennesimo confronto coi Paesi Europei, specie Germania e Gran Bretagna, che ci vedono ancora perdenti.Nemmeno le motivazioni hanno cambiato sostanza, mancanza di tempo, costi eccessivi dei libri, troppa distanza dalle biblioteche. Tra le righe, però, persiste il sapore di un senso di colpa, dettato, forse, dalla mancanza di coraggio: “Leggere mi annoia”, non lo dice nessuno, magari qualcuno con voce flebile (only the brave), perchè la responsabilità della nostra ignoranza pesa un pò sulle spalle di ogni singolo.Eppure la lettura è importante a prescindere da ciò che si legge. Leggere rientra tra gli interessi ed è per lo più un passatempo, così come guardare la tv quando essa diventa un mezzo incredibile per stimolare curiosità. Per i libri, ci pensa il patto finzionale tra autore e lettore, e il gioco è fatto. Sarà che, come diceva Montanelli, in Italia non si legge perchè manca un pubblico, una vera borghesia, sarà che siamo ossessionati dalla legge delle forme e dai messaggi che non necessitano mediazione, la pletora di libri continua a dar sempre l’idea di “nobiltà” annoiata e a sè stante.Eppure, basterebbe contare le pagine: “Si comincia a meravigliarsi del numero delle pagine lette e poi si arriva a spaventarsi del poco che rimane da leggere […] “Guerra e pace”, due grossi tomi…e solo 50 pagine da leggere. Uno rallenta, rallenta, ma niente da fare. Natasa finisce per sposare Pierre Bezuchov, ed è la fine” (D. Pennac, Come un romanzo)