Un successo clamoroso, che corona il sodalizio fra Glauco Mauri e Roberto Sturno, un’unione artistica che ha toccato quest’anno il quarto di secolo, raccogliendo il favore di pubblico e critica anche grazie alle straordinarie doti di mattatore di Mauri che lo collocano senza dubbio tra i “grandi maestri” della scena italiana.
La riduzione operata da Mauri (qui regista, traduttore e interprete) sceglie di mettere in primo piano la sfida dialettica tra l’investigatore, il poliziotto Porfirij, e il giovane visionario che, ossessionato da un astratto ideale di giustizia, pensa che un uomo superiore possa arrogarsi il “diritto ad uccidere”.
“Il teatro ha bisogno di ‘favole’ da raccontare agli uomini – scrive Mauri – e l’appassionante cammino, dal delitto al castigo, di Raskolnikov è una di quelle grandi ‘favole’ che ci chiedono di essere raccontate perché possano aiutare l’uomo a meglio comprendere sé stesso”.
Lo spettacolo, grazie anche ad una regia misurata e coerente, riesce a condensare i grumi più scoperti del romanzo, senza che lo spessore e la problematicità profondissima ne risultino minimamente ridimensionati.
All’interno della sobria, splendida scenografia simmetrica di Alessandro Camera, si dipana la sottile, metafisica disputa fra un indagatore eccentrico, inesorabile e appassionato e un intellettuale in preda ad afasie e ad angosce paranoiche, già intimamente schiacciato dal peso insopportabile dell’azione commessa. “L’uomo è un mistero difficile da risolvere” – scriveva Dostoevskij – “io voglio cercare di comprendere questo mistero perché voglio essere un uomo”.
In un panorama teatrale che spesso desiste dalla naturale vocazione a dibattere i grandi temi dell’Uomo, lo spettacolo di Mauri-Sturno, non rinunciando affatto a tale prerogativa, ci invita anzi ad una discesa negli abissi dell’anima, ad interrogarci sulla lotta fra bene e male e sulla fatica di vivere che appartengono a tutti noi.

Roma, Teatro Quirino
dal 14 novembre al 3 dicembre 2006