La grazia ineffabile del francese, la malìa barocca dello spagnolo, certi fiati e certe cadenze arabe, l’immarcescibile frutto della poesia greca: sono di queste sostanze le lingue di Napoli e Sicilia. Specchi onirici deformati, riflessi infedeli di città deflorate da cento culture che arrivavano dal mare, che arrivano ancora, inesauste, a celebrare matrimoni di suoni, oscure danze di idee e gesti mai nati e mai morti, scintillando di segni diabolici e pagani. Dai suoni del mare, dal desiderio sfacciato e segreto della morte, dalla memoria come nostalgia di un silenzio che vagheggia suoni inauditi, nasce  Desideri Mortali (in scena il 20 marzo al Teatro Massimo di Palermo), una sorta di oratorio profano composto e diretto da Ruggero Cappuccio addensato nella rievocazione del mondo poetico di Tomasi di Lampedusa. Una rievocazione  tra due lingue nell’agone dei suoni e dei sogni di un unico regno, di due Sicilie, di due Napoli, di due terre gemelle che non vorranno mai migliorare, perchè gli uomini che le popolano sono convinti di essere perfetti.Una rievocazione del desiderio di morte che ispira in tutta l’opera di Lampedusa, che cresce e si mostra in una stupefacente solarità intrecciata di vitalismi spossanti, sogni impossibili nella loro assoluta possibilità. Così, la scrittura di Ruggero Cappuccio si dilata come un pentagramma per le note del Gattopardo, degli appunti autobiografici di uno scrittore consacrato ad una  sapienza ritmica, ad una forza di materializzazione delle immagini riconosciute solo dopo la sua  morte. E  tutto avviene nei corpi e nel sangue di dieci attori sorpresi in una traversata nei silenzi della memoria di un grande poeta che amava indagare sul rapporto tra fonema, quantità, ritmo, indicati da lui come veri e propri parametri di timbro – altezza, intensità -colore, flusso nel tempo.