Resta sempre magistrale la lezione pedagogica di Rosseau che, nell’Emilio, aveva teorizzato un’educazione dell’uomo in quanto tale, attraverso l’ambito “ritorno alla natura”. Tanta l’asprezza contro i Gesuiti e i collegi che, con i loro metodi educativi, avevano troppo a lungo trascurato i bisogni reali dell’essere umano.E come Emilio è stato seguito nella sua formazione di vita, la migliore prospettiva di indagine resta sempre quella di chi vive e subisce gli insegnamenti impartiti. Anche quella popolare del somaro. In “Diario di vita”, infatti, a fare da protagonisti sono proprio i “fannulloni”, gli “scavezzacollo”, i “cattivi soggetti” che  notoriamente vanno male a scuola. Pennac, ex somaro lui stesso, studia questa figura ampiamente diffusa dandogli nobiltà, restituendogli anche il peso d’angoscia e di dolore che gli appartiene, attraverso ricordi autobiografici e riflessioni sulla pedagogia, sulle universali disfunzioni dell’istituto scolastico, sul ruolo dei genitori e della famiglia, sulla devastazione introdotta dal giovanilismo, sul ruolo della televisione e di tutte le declinazioni dei media contemporanei. E dalla indagine cavillosa e vivace nel “mal di scuola” che attraversa con vitalissima continuità i vagabondaggi narrativi di Pennac, vediamo anche spuntare un buon approccio a sapere e ad imparare che contrariamente a quanto si pensa, anima i giovani di oggi come quelli di ieri. Con la verve che lo ha reso noto, l’autore della saga dei Malaussène, movimenta riflessioni e affondi teorici con episodi buffi e toccanti, collocando la lezione d’amore, in maniera ardita ma giusta, anche all’interno della lezione pedagogica.
Diario di scuola
Daniel Pennac
Feltrinelli