Il mio Faust è un grande gioco molto serio diceva Goethe a proposito del suo capolavoro: ed è proprio questa atmosfera di tragica leggerezza la misura del Faust che arriva in prima nazionale al Teatro Quirino, diretto da Glauco Mauri, che veste i panni di Faust e Mefistofele, giocando la sua doppia interpretazione con quella speculare di Roberto Sturno. Grande mito della modernità, la vicenda esemplare del Dottor Faust può vantare alcuni tra i più illustri cantori della storia, della letteratura e della musica – da Cristopher Marlowe a Thomas Mann, da Franz Liszt a Randy Newman. Ma è opinione comune che il testo più significativo sull’erudito che in cambio dell’onniscienza vende la sua anima a Mefistofele rimanga proprio quello scritto dall’autore tedesco, duecento anni fa (nel 2008, infatti, cadrà il 200° anniversario dalla prima stesura dell’opera).  La dimensione dell’equivoco e del gioco infusa nel suo Faust, derivano a Goethe dall’aver assistito giovanissimo ad una rappresentazione di marionette che raccontava la straordinaria storia del mago/scienziato, già allora molto noto nella tradizione popolare. E sono proprio le note più popolari e affascinanti del racconto quelle sottolineate dall’attenta regia di Mauri, che torna a misurarsi dopo vent’anni con questo testo, nella mirabile traduzione di Dario Del Corno. In un’atmosfera più leggera ed umana, saranno lo smacco e la seduzione, legati ad una straordinaria complessità e significanza, a guidarci in un viaggio nell’animo umano, che in questa opera diventa inquietante e diabolico, soggetto alla vanità, all’ambizione che attraversano, oggi come ieri, «quella cosa imprevedibile e a volte tragica che è la vita».