Dal 23 al 31 ottobre, al Teatro India di Roma, Spiro Scimone è stato impegnato nella messa in scena del suo quinto testo teatrale, La busta. Avvelendosi della regia del partner artistico Francesco Sframeli, questa volta Scimone riflette sulla miseria della condizione umana. Protagonisti soprusi, discriminazione e violenza. In un posto indefinito, legati solo da un rapporto di vittima-carnefice, un Signore, il Segretario, il Cuoco e X partecipano alla creazione di un mondo privo di valori, vuoto, finto, senza umanità. Una visione amara di una società degradata che ha voglia di lottare, resistere ma per fare ciò deve trovare il coraggio del cambiamento. Ne abbiamo parlato con Spiro Scimone. Per dominare è necessario non mostrare la propria reale natura?A volte chi comanda ha una maschera. Ma ciò a cui mi riferisco è un potere corrotto, un potere violento, un potere dotato di una violenza nascosta che fa di tutto per diffondersi. La busta è purtroppo la proiezione del nostro mondo. Cosa l’ha spinta a scrivere La busta?La rabbia, il desiderio di urlare questa realtà. Io scrivo perché ho il bisogno di comunicarlo, tutti noi abbiamo qualcosa da dire ma non necessariamente per esprimerlo dobbiamo adoperare l’arte. Nelle note di regia ha scritto che “i personaggi della finzione teatrale, anche quelli violenti, sono necessari perché attraverso la loro rappresentazione si possono smascherare i personaggi disumani della realtà.” Qual’è per lei la funzione del teatro oggi?È stato Shakespeare che attraverso Amleto ha detto “Il teatro! Ecco la trappola per catturare l’anima del re”. La magia del teatro è che pur essendo finzione, per conquistarlo, devi raggiungere il massimo dell’autenticità. È il teatro che deve togliere la maschera allo spettatore. Il teatro è relazione e per la sua natura educa all’ascolto e al confronto. In una recente intervista Sergio Rubini ha dichiarato di considerare il suo ultimo lavoro, Colpo d’occhio, “un film sulla visibilità, in una società dove tutti vogliono essere artisti per essere visibili”. È d’accordo?Queste persone le considero finti artisti. Per essere artisti è necessario, oltre al talento, lo studio, il sacrificio e la privazione. Il problema è che in Italia alcuni si improvvisano artisti perché ci sono individui che permettono loro di fare ciò. Mentre ci sono artisti validi a cui non è permesso di mostrare il proprio valore. Lei ha affermato che “il teatro è in coma”. Qual è la situazione teatrale all’estero?Le persone che non vogliono che esista la cultura fanno sì che il teatro sia in coma. Pur non riuscendo nel loro intento, cercano in tutti i modi di non farci pensare. A livello di fermenti culturali l’Italia non ha nulla da invidiare all’estero. Purtroppo all’estero questi fermenti vengono sostenuti mentre da noi si supportano progetti che non hanno a che fare con l’arte. Bisognerebbe ripartire da zero dando la possibilità di ricercare nuovi linguaggi, educando i giovani alla cultura, mostrando loro validi esempi. É impensabile che attraverso programmi spazzatura possano emergere i futuri artisti. Ma questo è un problema che investe qualsiasi settore. I giovani non sono stimolati all’arrichimento culturale se poi ad andare avanti sono i raccomandati. Quale “busta” non vorrebbe mai ricevere?Teatralmente sarei disposto a ricevere tutte le buste mentre nella vita reale ognuno di noi sa quali sono le buste che non si vorrebbero mai ricevere. È vero che scrive per il bisogno di recitare?Sì, scrivo per il bisogno di recitare, per soddisfare il desiderio di relazionarmi e rapportarmi con gli altri. Come descriverebbe il rapporto con la sua terra natale, la Sicilia?Amore perchè è la mia terra. Ma è un amore conflittuale a causa di una realtà che vorrei non esistesse. Il suo motto.Il teatro è vita