Un’inchiesta su “A” in edicola dal 10 aprile propone le testimonianze di cinquantenni pronti a cambiare vita nonostante il posto fisso. Perché altrove lavorano meglio, sono più gratificati e guadagnano di più. Gregorio Maldini, chirurgo di 48 anni, racconta da Honolulu: «A Bergamo eseguivo 100 interventi all’anno, qui 700 e non esistono liste d’attesa infinite per i pazienti. A differenza di quello che sente sempre raccontare della sanità negli Stati Uniti, qui ad Honolulu si curano gratuitamente anche malati senza assicurazione». Il dottor Maldini non nasconde i vantaggi economici: oggi il suo stipendio si aggira intorno ai 300mila dollari all’anno, quattro volte il suo compenso italiano.Altra testimonianza: «È solo per motivi personali che puoi decidere di tornare. Non ci sono ragioni professionali che ci trattengono in Italia», confida Valentina Mazza, che si occupa di ricerca biomedica su malformazioni congenite. È stata per cinque anni a Londra e adesso, rientrata a Milano, sta aspettando l’occasione giusta per emigrare di nuovo. «Quello che mi fa più rabbia è che siamo i più qualificati a livello teorico – si sfoga Valentina Mazza – Poi, ai chirurghi italiani tocca stare per vent’anni a guardare il medico più anziano in sala operatoria. A quarant’anni i medici sono ancora considerati giovani e fanno da badanti ai primari».«In Italia – racconta Giovanni Righetti, presidente dell’ordine dei medici di Latina – mancano gli stimoli. Negli Stati Uniti lavorano ben 5.500 medici italiani, sono il gruppo più numeroso di medici stranieri. Ma là s’incoraggia l’iniziativa del singolo, lo si protegge di più in termini di necessità e bisogni per la sperimentazione. Se devi eseguire una Tac, non aspetti per giorni prima di avere il macchinario necessario. E poi, chi vuole restare in un paese così travagliato?».