Il mondo è morto, avvolto in una coltre di polvere e freddo, chiuso nei suoi colori tetri e tutti sbagliati, dove a muoversi sono solo ombre che cercano di sopravvivere: quale speranza può allora muovere all’infinito i passi dei protagonisti dell’ultimo romanzo di Cormac McCarthy, “La Strada”, pubblicato da Einaudi, pp. 218, euro 16,80.  Un uomo e un bambino trascinano con sé sulla strada tutto ciò che nel nuovo equilibrio delle cose ha ancora valore: un carrello del supermercato con quel po’ di cibo che riescono a rimediare, un telo di plastica per ripararsi dalla pioggia gelida e una pistola con cui difendersi dalle bande di predoni che battono le strade decisi a sopravvivere a ogni costo. Eppure il niente volutamente plateale nasconde con lo scorrere delle pagine qualcosa di molto più importante: un bambino che porta il fuoco e un uomo che lo protegge dalle intemperie del mondo semimorto con implacabile amore. Mentre camminano in cerca di cibo e riparo, padre e figlio si sostengono a vicenda: il loro legame di incondizionato affetto è probabilmente l’unica ragione che spinge i due ad andare avanti, impedendo loro di accovacciarsi in un anfratto e lasciarsi morire. Appartiene al lettore quello sguardo disperato che però riesce ancora a guardare in avanti anche quando la penna spietata di uno scrittore magico elargisce immagini forti.
Dove non c’è storia e non c’è futuro, McCarthy concede con scarna freddezza un’epica e straziante storia di assurda quotidianità che consola e scalda il cuore. Non a torto, questo romanzo è considerato il suo capolavoro da molti estimatori: la descrizione più cupa e nera dell’inferno ed insieme più lucida della speranza che tiene unite due persone che si amano. “Ce la caveremo, vero, papà? Sí. Ce la caveremo. E non ci succederà niente di male. Esatto. Perché noi portiamo il fuoco. Sí. Perché noi portiamo il fuoco”.