«C’erano persone che non conoscevo. Che non dipendevano da noi. Che erano altri a gestire».

Così dice, riferendosi alla strage di via Fani del 16 marzo 1978 a cui prese parte, l’ex brigatista rosso Raffaele Fiore.

Lo fa in una intervista esclusiva al settimanale OGGI, nella quale non cambia il suo atteggiamento di né pentito né dissociato («Oggi dopo quarant’anni non avrebbe senso farlo») ma qualcosa dice. Anche rispetto alla presenza sul luogo dell’agguato di una moto Honda con due persone a bordo: «Né io né gli altri compagni sappiamo nulla della moto, abbiamo avuto modo di parlarne e di riflettere. Non so se c’era, né chi erano i due a bordo. Non facevano parte del commando dell’organizzazione».
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iore, condannato all’ergastolo e dal 1997 in libertà condizionata, dice a OGGI, soppesando le parole: «Non c’è stato un uso strumentale di altre forze. C’era una situazione per cui facendo qualcosa rischiavi, pur non volendo, di essere “utile” ad altri».

Sulla possibilità che Moro venisse salvato aggiunge: «C’erano i presupposti per arrivare a una conclusione, e noi abbiamo fatto diversi tentativi per uscire da quella campagna in modo meno cruento. C’era la volontà di liberare Moro e lo abbiamo fatto capire in tutti i modi.

Se loro autonomamente avessero messo fuori, non il gruppo che avevamo chiesto, ma solo due compagni detenuti nonostante le loro gravi condizioni di salute, ci avrebbero spiazzato. Noi siamo stati costretti a quella soluzione finale». E conclude, con un messaggio tutto da decifrare: «Volevamo solo il rilascio dei nostri compagni, poi abbiamo capito che non sarebbe stato facile portare avanti la battaglia. Che erano entrate troppe forze in campo».