Ispirato alle lettere che la scrittrice americana Flannery O’Connor inviava a una ragazza rimasta a lungo “anonima”, e conosciuta dai lettori dell’epistolario come A., L’ultima Parola dei Pavoni racconta la vita e i racconti di una delle più interessanti autrici dei nostri tempi nel rapporto di amicizia imprevisto e inaspettato con la giovane ammiratrice. Proprio nel suo voler restare solo A. la narratrice della storia diventa metafora del lettore che incontra l’autrice attraverso i suoi libri e ne condivide scoperte e passioni, fino ad “entrare” in uno dei racconti più suggestivi della scrittrice i cui personaggi prendono vita in scena. Un rapporto che segna e cambia la vita fino all’esito finale una morte che non è l’ultima parola sull’esistenza, perché come scriveva Flannery O’Connor “L’ultima parola è dei Pavoni”

“L’ultima parola è dei pavoni è una pièce di grande finezza e di raffinato lirismo nel rappresentare la solitudine, la malattia e la deformità di Flannery O’Connor, la grande scrittrice americana che rappresentò il sud degli Stati Uniti con una visionaria fantasia.” (dalla motivazione del XXXI premio Flaiano)

” L’ultima parola è dei pavoni” è nato come saggio di diploma di Maria Francesca Destefanis. Alla Scuola Holden il saggio di diploma si chiama “prova d’autore”. Molto pomposo. Gli allievi si scelgono un tutor tra gli insegnanti. E Maria Francesca ha scelto me. E siccome alla Scuola Holden io insegno narrazione orale , ho seguito la scrittura dei ” pavoni”. Per me fare il tutor di una prova d’autore è leggere quello che l’allievo ha scritto. Leggerglielo a voce alta. Fargli sentire quello che ha scritto. Scrivere è una cosa che si fa con il corpo non con la mente. E dalla scrittura deve emergere il corpo dello scrittore, il suo respiro. Sentirlo attraverso il corpo e la voce di un’altra persona è la cosa più utile che riesco a fare di utile per i ragazzi, preoccupati per la loro prova d’autore. Così ho fatto con la prova di Francesca. Già dalla prima lettura si sente se una storia ha corpo. Spesso questo corpo è legato da abitudini linguistiche, imprigionato dal rispetto di regole tradizionali… Ma se c’è il corpo si sente. E il racconto di Maria Francesca il corpo ce l’aveva. Bisognava solo tagliare. La prima cosa che le ho detto è stata: bisogna che di dieci pagine ne fai tre senza perdere niente. Lei, incredibilmente, lo ha fatto. Ed è venuto fuori un testo teatrale. Parole che aspettano solo di essere messe in bocca agli attori giusti . (Gabriele Vacis)

Roma-Teatro SalaUno dal 12 al 18 marzo
Orari:
12/13/14/16 marzo ore 19.00
15/17 ore 21,15
domenica 18 ore 18.00