“E nella barca del vino ci navigheremo sugli scogli, emigranti della risata con i chiodi negli occhi, finché il mattino crescerà da poterlo raccogliere, fratello dei garofani e delle ragazze, padrone della corda marcia d’acqua e di sale che ci lega e ci porta in una mulattiera di mare”. Quella della ‘mulattiera di mare’ è senza dubbio un’immagine suggestiva, da pescatori, e i pescatori, si sa, sono legati alla loro terra. Alla loro terra come al loro mare, e come alla loro lingua. L’autore dei versi che avete appena letto, difatti, si è servito del dialetto, ma riportarli qui in forma originale sarebbe stato forse eccessivo, visto che la loro origine è genovese e che l’autore in ballo è forse il più grande creatore di immagini in musica che l’Italia abbia mai avuto, abilissimo giocoliere di versi e parole: Fabrizio De André, che ha usato quella lingua come un vasaio usa la creta, sfruttandone al massimo i suoni e ricavandone un affresco che alla lettura si presenta difficilmente comprensibile. Il brano è ‘Creuza de mä’, ‘Mulattiera di mare’, e dà il titolo all’album riconosciuto come uno dei primi lavori di musica etnica – forse proprio il primo – che sia riuscito a farsi strada oltre la regione della lingua che parla: pubblicato nell’84 è stato indicato con un referendum fra i giornalisti nell’89 come album del decennio ed è universalmente considerato uno dei migliori dischi mai realizzati in Europa. Se si va a cercare fra le note, però, oltre il nome “Fabrizio De André” si trova, sotto la voce “autore di musica e testi”, anche il nome “Mauro Pagani”. “Io nasco musicista. Ho imparato prima a suonare che a scrivere testi”. È la prima cosa che ci ha detto Mauro. Il fatto che lui “nasca musicista” giustifica a pieno il suo lavoro in ‘Creuza de mä’: in realtà Mauro è soprattutto autore delle musiche: “Avevo scritto la musica e, avendo ascoltato per anni musica in arabo, ci avevo inserito sillabe e suoni, come se fosse arabo maccheronico… Una sorta di grammelot, e l’idea originale era quella di cantare il disco proprio in grammelot: poi Fabrizio ha avuto l’intuizione che il genovese conteneva già tutti quei suoni che cercavamo”. ‘Creuza’era un’idea che aveva in mente da anni, ma l’arrivo di De André e delle sue idee lo rese, in non più di 3 mesi, il capolavoro che è diventato. Mauro è noto soprattutto per essere stato violino e flauto della PFM, fino al ’77: è allora (dopo una memorabile tournée in Giappone) che prese la decisione di fermarsi e porre attenzione alla musica del mondo. Ha letto tanto e ascoltato del mondo. Ha viaggiato, visto gente e culture, soprattutto nelle loro caratteristiche sonore: dalle sue parole si può avere l’immagine di un personaggio nutritosi di suoni, immagini, spinto da una voglia che, in definitiva, si chiama musica: “‘Creuza’ è un album completamente nuovo perché la musica è sì di ispirazione mediterranea, ma non è: né siciliana, né sarda, né nordafricana… Né tanto meno genovese. È una sintesi musicale fondata su stilemi che avevo assorbito negli anni ascoltando tanto. E la lingua doveva essere così: doveva parlare un po’ italiano, un po’ arabo, un po’ spagnolo, un po’, un po’… Poi è venuto fuori il dialetto, e devo dire per fortuna: due operazioni letterarie una sull’altra avrebbero reso il lavoro un po’ troppo distaccato dalla realtà”. La capacità di Mauro di ‘masticare’ il mondo è riconoscibile in poche persone: è come se si fosse fatto adottare dai posti che ha visitato, dai libri che ha letto e dai dischi che ha ascoltato, dalla terra madre degli strumenti che suona, dalle musiche che esegue e da quelle che immagina. È “un po’, un po’, un po’…”.