Un vero e proprio incontro–scontro in un confronto muto tra Dio e l’Olocausto: la vicenda di Elga Firsch, attrice ebrea di Francoforte che interroga il Creatore costringendolo alla sbarra, prende l’avvio da una storia vera per trasformarsi in una gara dura, senza esclusione di colpi, combattuta con l’istinto feroce dei sopravvissuti, di chi – marchiato dal lager – brucia per la rabbia di un massacro tanto barbaro quanto assurdo, indecifrabile, insensato. Processo a Dio, di scena al Teatro Valle dal 26 febbraio al 16 marzo, è scritto da Stefano Massini con la tentazione e la necessità di dare una risposta alle domande dell’intera umanità. Ho lavorato come forse si lavora ad una statua – dice l’autore – ho sgrossato il blocco di marmo per poi scendere sempre più nel dettaglio. Ed era come se il testo esistesse già, laggiù, in fondo al blocco.Era la primavera 1945, nel campo di sterminio di Maidenek (Polonia), a pochi giorni dalla liberazione, la protagonista esplicita e sottopone le sue e le nostre domande al Creatore, ancora sconvolta di fronte all’orrore, alla violenza, al male, pretendendo un risarcimento per le atrocità viste e subite. Un dialogo serrato, a senso unico per muovere un’accusa precisa a Dio, colpevole di aver permesso questo tremendo attentato alla sopravvivenza del suo popolo. Perché la parola chiave di questo testo non è il dolore dell’Olocausto – chiarisce il giovane ma già affermato drammaturgo – bensì il non-senso: quella nebbia fitta che avvolge il presente, quella insignificante banalità che muove la storia con il tragico sconcerto di chi ne è vittima.Parte da uno spunto doloroso e ribelle dunque, la genesi di un personaggio appassionato e forte come quello interpretato da Ottavia Piccolo che dice ho sentito necessario questo testo; intuivo che si potesse superare il rischio che la macchina scenica sporcasse un argomento così sensibile come la Shoah, finché la messa in scena mi ha dato ragione. Accanto alla protagonista, impegnata in un’eccellente prova di attrice, Vittorio Viviani e Silvano Piccardi completano una messa in scena di straordinaria lucidità ed energia, resa preziosa dalla regia rigorosa e attenta di Sergio Fantoni. Ho reso rappresentabile l’inimmaginabile realtà del lager: ho ambientato lo spettacolo in un capannone-magazzino – spiega il regista – che per i nostri personaggi è come la camera di decompressione prima di entrare in un altra dimensione dell’esistenza. E allora ecco l’urgenza delle domande e la necessità di almeno qualche risposta prima di essere costretti a custodirle nel silenzio del “dopo” . Nessuno mai ha potuto meglio di noi cogliere la natura insanabile dell’offesa…è stolto pensare che la giustizia umana la estingua…si perpetua come odio nei superstiti, e pullula in mille modi, contro la stessa volontà di tutti, come sete di vendetta, come cedimento morale, come negazione, come stanchezza, come rinuncia…(Primo Levi)