“Le psicosi collettive possono colpire chiunque, soprattutto le persone che non sono abituate a scegliere in autonomia e mettere in discussione le cose – spiega lo psichiatra Michele Cucchi, Direttore Sanitario del Centro Medico Santagostino di Milano – Persone che sono molto sensibili a come si muovono gli altri. Persone anche molto aggiornate ma che dipendono dagli altri per esprimere un giudizio. E’ facile parlare alla pancia delle persone e trascinarle in un vortice di ansia e angoscia, talvolta irrazionali.

Le psicosi sono un modo di vivere il rapporto con la realtà dei fatti: un modo in cui perdiamo il contatto con la realtà, credendo fermamente a cose che non sono reali e tutto il nostro mondo ruota attorno a queste idee. La peculiarità è che veniamo contagiati credendo alla bontà della reazione emotiva dell’altro, non mettendo più in discussione il fatto in quanto tale. Queste paure che possono condurre a una vera e propria psicosi inoltre sono tutte basate sulla minaccia al senso di sopravvivenza della specie. Per affrontare il tema dell’alimentazione, oggetto specifico di questa psicosi collettiva, occorre fare un ragionamento principalmente culturale. Noi tutti dedichiamo troppo poco tempo e di troppa bassa qualità al cibo, a come mangiamo da capire le scelte che facciamo. Non è tanto la carne, che, leggendo bene i numeri, ha un impatto relativamente piccolo rispetto ad altri fattori, come la sedentarietà e il fumo di sigaretta”.

“Il problema è: che tipo di carne mangiamo? – conclude il dottor Cucchi – Oggi la catena industriale ha stravolto la catena alimentare e, giusto per citare un paio di esempi, le mucche di cui mangiamo la carne non ruminano più ma mangiano mais, una cosa del tutto anomala, come se noi mangiassimo le foglie delle piante. I bovini che noi mangiamo raggiungono la stazza di adulto in un terzo in meno del tempo fisiologico. Questi animali sono trattati medicalmente come le persone anziane nei ricoveri in ospedale per evitare le infezioni da permanenza in luoghi pericolosi per il contagio di infezioni: le stalle (se così si possono chiamare) dove vivono, ammassate una sull’altra. Domandiamoci quindi, che carne mangiamo?

Che ripercussione ha l’assetto ormonale di questi animali sulla nostra salute? Dobbiamo tirare fuori dalla soffitta la cultura del genuino, della produzione, che tutela la catena alimentare, e scegliere quindi il cibo in modo diverso. Dovremmo mangiare un po’ meno, evitare le abbuffate serali, che fanno sempre un po’ gratificazione emotiva di una giornata di lavoro, ma fanno molto male alla nostra salute. Occorre grande consapevolezza e cultura, in questo modo possiamo vincere le psicosi che altrimenti ci travolgono”.