Nel numero della rivista domani in edicola (e anche su www.oggi.it), si rivelano i retroscena di un’operazione ancora coperta dal massimo riserbo, ma già seguita con la massima attenzione da ambienti politici, circoli monarchici e sotto la sorveglianza speciale delle Comunità ebraiche italiane. 
Tutto è cominciato con una lettera inviata il 21 agosto scorso alla presidenza del Consiglio. Firmata Ugo d’Atri, presidente delle Guardie d’Onore incaricate di vegliare sulle sepolture dei re d’Italia al Pantheon, la missiva illustra la situazione venutasi a creare in Egitto e, facendo riferimento ai ripetuti attacchi ai danni di chiese cristiane, conclude chiedendo al premier Enrico Letta di «esaminare la possibilità di un urgente intervento del Governo Italiano per la traslazione in Italia della salma del re Vittorio Emanuele III, attualmente sepolto nella chiesa di santa Caterina ad Alessandria d’Egitto». Commenta Davide Colombo, segretario nazionale dell’Unione Monarchica: «Si è aperto un dibattito che tra l’altro vede coinvolti anche molti parlamentari di provata fede repubblicana. Vittorio Emanuele III è stato capo dello Stato Italiano per quasi mezzo secolo. Non possiamo permettere che la sua sepoltura sia a rischio di atti vandalici. Sarebbe un vilipendio alla nostra storia, alla nostra immagine di Paese». 
Nella lettera di d’Atri si fa preciso riferimento  alla disponibilità delle guardie d’onore a coprire ogni onere finanziario e quindi l’operazione potrebbe avvenire a costo zero. Il problema, secondo indiscrezioni raccolte in ambiente parlamentari, è un altro. Vittorio Emanuele III nel 1938 firmò le leggi razziali e in questo momento con la memoria ancora fresca del caso Priebke, nessuno ha voglia di provocare reazioni ostili, in particolare dalla comunità ebraica. Interpellato da Oggi per un commento, Renzo Gattegna, presidente delle Comunità ebraiche, ribadisce la condanna pronunciata a Trieste commemorando i 75 anni dall’entrata in vigore delle leggi: «Come biasimare i deputati se lo stesso Capo dello Stato, il re Vittorio Emanuele III, infangò e distrusse qualsiasi prestigio morale della sua dinastia apponendo la propria firma al famigerato regio decreto numero 1390?».