“In un mondo pieno di caos e imperfezioni, il terminal mi parve un rifugio prezioso e affascinante pieno di logica ed eleganza… Se mi avessero chiesto di portare un marziano a visitare un luogo che racchiudesse efficacemente tutto lo spettro dei temi che percorrono la nostra civiltà… mi sarei senz’altro diretto verso gli atri delle partenze e degli arrivi.” Questo è un brano del romanzo di Alain De Botton che nell’estate 2009 riceve una proposta a cui non si può dire di no: diventare il primo «scrittore residente» di uno degli aeroporti più importanti del mondo. Il direttore generale della BAA, azienda che gestisce lo scalo londinese di Heathrow, vuole che vi si trasferisca per una settimana, che raccolga impressioni e testimonianze e che le rielabori in un libro. Il tutto da una scrivania piazzata in mezzo all’atrio delle partenze, tra la zona D e la zona E. Autorizzato a curiosare anche negli angoli più inaccessibili e a scrivere tutto, ma proprio tutto, quello che vede, per sette lunghi giorni De Botton gironzola tra terminal, piste di atterraggio e cucine, chiacchierando con chiunque, dagli addetti alla sicurezza al sacerdote dell’aeroporto, dai colletti bianchi a Dudley il lustrascarpe.Finito quasi per caso in un crocevia di storie e di emozioni lo scrittore trasforma i suoi bloc-notes in racconti e in sorprendenti riflessioni sui meandri della psiche umana, sulle affascinanti contraddizioni del mondo moderno e sul viaggio come possibilità di «apportare cambiamenti duraturi nelle nostre esistenze». Alain de BottonUna settimana all’aeroportoGuanda