Guai a voler insegnare la pasta agli italiani: essendone gli orgogliosi inventori, nonché i maggiori consumatori al mondo, ci riteniamo indiscutibili esperti. Eppure, circolano molti falsi miti, sia produttivi che nutrizionali, che abbiamo voluto sfatare con l’aiuto della nutrizionista Marina Carcea, ricercatrice del Crea (Consiglio per la ricerca in agricoltura e l’analisi dell’economia agraria), e del professor Giuseppe Zeppa, docente di tecnologie alimentari alla facoltà di Scienze Agrarie dell’università di Torino.

9 miti da sfatare
Mangiata a cena fa ingrassare
Al pari degli altri alimenti con un buon indice glicemico (come pizza o pane) è preferibile consumare la pasta a pranzo, perché si ha davanti un bel po’ di tempo per sfruttarne la carica energetica. Ma la si può gustare anche la sera, se si cena presto e/o si va a dormire tardi, oppure se dopocena si fa una passeggiata o dell’attività fisica.

Al dente è più digeribile che ben cotta
In realtà è il contrario: è la pasta ben cotta che viene digerita più rapidamente. Infatti, grazie alla maggiore idratazione e gelatinizzazione dell’amido, gli enzimi dello stomaco riescono subito a trasformarla in energia. Ciononostante, proprio per la sua digestione più lunga, la scelta migliore (e non solo per il palato) resta la pasta al dente. Siccome richiede più tempo, sia per la masticazione sia a livello gastrico, rilascia energia in modo più lento e ha un impatto più blando sulla glicemia. Per questo l’indice glicemico della pasta è più basso dopo la cottura al dente e migliora ulteriormente se si consuma la pasta fredda, ad esempio in insalata.

La variante gluten free è più sana
Non è vero che il glutine sia tossico e non ci sono prove scientifiche che dimostrino che assumerlo provochi problemi, ovviamente se non si è celiaci o si hanno problemi di intolleranza.

Non può essere un cibo completo
La pasta non è un alimento completo ma lo diventa facilmente se viene abbinata al condimento giusto, ossia capace di apportare i nutrienti di cui è carente. Ecco perché è importante condirla in modo corretto: il formaggio fornisce amminoacidi essenziali e calcio; le verdure apportano vitamine (specialmente se aggiunte crude o appena sbollentate), mentre i legumi, la carne e il pesce forniscono gli amminoacidi carenti nel grano duro. E non bisogna mai rinunciare all’abbinamento con i grassi (come l’olio extravergine) perché rallentano lo svuotamento gastrico, aiutando il rilascio graduale dell’energia fornita dalla pasta, con effetti positivi sul carico glicemico.

Il condimento ai legumi fornisce troppi carboidrati
La combinazione tra cereali e legumi è una delle migliori sul piano nutrizionale, perché fornisce un insieme proteico di grande valore e si realizzano piatti con un buon apporto di fibre. Anche a livello di carboidrati l’abbinamento funziona bene, a patto di dimezzare le dosi standard sia di pasta che di legumi, così da non esagerare con zuccheri complessi e calorie.

La pasta integrale
Non sempre. Sicuramente è da preferire, perché ha un maggior contenuto in fibre, sali minerali e vitamine, e un minor indice glicemico, per cui non crea picchi di glicemia nel sangue. Ma è meglio evitarla in caso di disturbi intestinali e alternarla alla pasta raffinata in caso di un’alimentazione già abbastanza ricca di fibre, come avviene spesso per vegetariani e vegani.

Quella rigata è da preferire alla liscia
Se si vuole ottenere un piatto a regola d’arte con la pasta rigata si corrono più rischi perché gli avvallamenti sulla superficie cuociono prima della parte centrale e, quando incontrano il sugo, rilasciano facilmente amido, rendendola più collosa. Invece, la pasta liscia raggiunge la cottura in modo uniforme su tutta la superficie e ha bisogno solo di un buon sugo per creare l’abbraccio perfetto da gustare.

Se macinata a pietra è sempre di qualità superiore
La macinatura a pietra è un buon punto di partenza ma da sola non basta per affermare che una pasta sia eccellente. Il suo vantaggio è che provoca un minor riscaldamento del grano duro: così se ne preserva la componente volatile nello sfarinato (resta più profumata) e si ha un minor frazionamento delle parti proteiche, comprese quelle che parteciperanno alla costruzione del glutine nella farina. La qualità dello sfarinato ottenuto con la macinatura a pietra deve essere preservata in tutto il ciclo produttivo nel pastificio, compresa l’essiccazione. Altrimenti quest’attributo della pasta perde il suo valore.

La trafilatura al bronzo trattiene di più il sugo
Le trafile in bronzo creano un maggior attrito rispetto al teflon, e questo dà alla pasta una superficie più porosa. Al contrario la pasta trafilata al teflon rilascia meno amido e tiene di più la cottura, risultando più croccante in bocca. Ma entrambe trattengono il sugo allo stesso modo. E, attenzione: l’uso di trafile in bronzo non basta per ottenere una pasta di qualità, servono anche una buona semola di partenza e un’essiccazione condotta a regola d’arte.