«Soltanto ora scopro il padre che non conoscevo. Con lui ho avuto pochi rapporti, per carattere l’ho sentito distante. Rappresentava la regola, il rispetto degli orari: come per il pranzo o per la cena, che prevedevano compostezza e puntualità. Il mio spirito ribelle si è sviluppato per contrapposizione».
Lo dice Vittorio Sgarbi al settimanale OGGI, che nel numero in edicola da domani (anche su www.oggi.it), intervista il critico d’arte e suo padre Giuseppe, scrittore esordiente all’età di 93 anni.
C’è un altro Sgarbi che ruba la scena al più noto critico d’arte. Nelle pagine di “Lungo l’argine del tempo – Memorie di un farmacista” (ed. Skira, dal 26 febbraio in libreria), Giuseppe Sgarbi racconta una provincia italiana feconda e coraggiosa: quella a cavallo tra Emilia Romagna e Veneto, dipinta da papà Sgarbi con il chiaroscuro dei ricordi. Dalla Grande Guerra all’alluvione del Polesine nel 1951, ecco le parole d’amore per la moglie Rina («una delle ragazze più belle di Ferrara»), e i flashback con i figli: Vittorio ed Elisabetta, quest’ultima direttore editoriale della Bompiani e regista.
Di Vittorio, il papà dice: «Gli ho trasmesso la passione per la  letteratura. In collegio, quando la sera spegnevano la luce, leggeva con la pila sotto le coperte». Mentre il figlio dice: «Da queste sue pagine escono storia, pensiero e una visione della vita entusiasmante. Non c’è solo racconto, ma anche sensibilità. L’autore è il padre che volevo». Sull’irruenza polemica di Vittorio, spesso fonte di critiche, il padre commenta: «Mi va bene perché appartiene a mio figlio. Ma, specie quando la esercita in televisione, penso gli porti solo antipatie». Mamma Rina aggiunge un ricordo: «E sì che non ha detto una parola fino a due anni, io pensavo fosse muto! Quando poi aveva qualcosa da chiedere, veniva sempre da me».