Avevano detto che il faro era fuori uso. Una reliquia. Una presenza malinconica sul fianco dell’isola. Eppure, quando ci arrivarono, sembrava ancora vivo. Respirava con il vento.

Andrea, professore universitario di letteratura inglese, aveva preso un anno sabbatico. Non per scrivere un libro, come aveva dichiarato con troppa sicurezza. Ma per respirare. Per riprendersi da una separazione diventata silenziosa ben prima di diventare ufficiale. Con sé c’era sua figlia Emma, sedici anni, occhi puntati perennemente su uno schermo e un’aggressiva abilità nel far sentire gli adulti inadeguati.

La casa era un’ex stazione del guardiano del faro. Pochi metri dalla scogliera, finestre grandi come promesse. Pareti spesse, odore di salsedine e libri chiusi da tempo. I letti cigolavano. La cucina era piccola, con una teiera smaltata e bicchieri spaiati. Sopra il camino, una fila di conchiglie numerate con pennarello. La luce del faro — ancora funzionante, a quanto pare — entrava a intermittenza nelle stanze, come se cercasse qualcosa.

Il secondo giorno, Emma trovò un diario sotto una tavola sconnessa della camera al piano superiore. Era scritto in una calligrafia irregolare, a tratti infantile, a tratti ossessiva. Parole come “non dimenticare”, “vento costante”, “la notte ha un colore diverso qui”.

Andrea lo lesse a voce alta, per spezzare il silenzio. Iniziò come un gioco tra padre e figlia. Ogni pagina dava nuovi indizi, frammenti di una vita precedente: il guardiano del faro, o forse sua figlia, o forse qualcuno che c’era passato per caso, come loro. I nomi erano vaghi. Ma le descrizioni erano incredibilmente precise. Una parete che sembrava muoversi. Un sasso bianco tra le rocce. Un cassetto chiuso a chiave nella scrivania. E quel cassetto esisteva davvero.

Emma cominciò a lasciare messaggi nel diario: “Chi sei? Perché ci hai lasciato queste cose?”. Il giorno dopo, un nuovo foglio era comparso. Non erano stati loro.

Le giornate si riempirono di passeggiate tra i muschi e il mare, di tè preparati con troppa attenzione, di silenzi sempre meno minacciosi. Andrea cominciò a dormire con la finestra aperta, lasciando entrare il vento e i versi dei gabbiani come se fossero parte di una nuova lingua.

Una mattina trovarono il faro acceso, benché nessuno avesse mai detto dove fosse il quadro elettrico. Emma, per la prima volta, sorrise senza sarcasmo.

Quando arrivò il momento di partire, lasciarono il diario al suo posto. Ma Andrea infilò nel cassetto una sua lettera: “Non so se leggerai anche questa. Ma grazie. Ci hai fatti parlare.”

Emma aggiunse: “PS: bella playlist di vento e misteri.”

A Skye il faro, ufficialmente, è ancora spento. Ma alcune notti, una luce gira. E qualcuno ascolta.

Casa-faro sull’isola di Skye, diario sul tavolo e vista oceano, atmosfera misteriosa e intima”