L’ultima frontiera della politica “verde” non poteva che essere made in Scandinavia: è noto che il Nord Europa ci sopravanza in fatto di cultura ambientalista. La nuovissima iniziativa del governo svedese è un’ulteriore informativa, ai cittadini, del loro costo energetico: quanto pesano sugli equilibri ecologici del pianeta, in proporzione ai cibi che scelgono. Su alcuni prodotti alimentari e sui menu dei ristoranti, stanno comparendo etichette che indicano le emissioni di anidride carbonica legate alla produzione. L’avventore affamato può così scoprire che il maxi hamburger che si apprestava ad ordinare è un ordigno antiecologico: per fabbricarlo occorre 1, 7 kg di CO2. Molto meglio optare per un salutare petto di pollo: meno inquinante della carne rossa (l’allevamento di bestiame è una fucina di sprechi energetici), costa al pianeta appena 0,4 kg di CO2. Così come le carote sono preferibili a cetrioli e pomodori, che in Svezia, essendo coltivati in serra, richiedono un maggiore investimento energetico. “Siamo i primi a farlo ed è un nuovo modo di pensare per noi – dice Ulf Bohman, direttore del Dipartimento nutrizione dell’Agenzia per il controllo degli alimenti, incaricato, lo scorso anno, di confezionare una politica alimentare che accordasse salute e clima. – Siamo abituati a pensare a sicurezza e nutrizione come una cosa e all’ambiente come un’altra”. L’obiettivo è invece sposare le due sensibilità, quella salutista e quella ecologista. “E’ un esperimento – ammette Bohman – dobbiamo comunque capire se funziona o no”.