l virus dell’epatite C (HCV) è una delle principali cause di morbilità e mortalità correlate al fegato. Le disponibilità di una cura ad alta efficacia, che consente la definitiva eliminazione del virus in circa il 97% dei casi trattati, ha cambiato radicalmente la prognosi e il destino individuale di migliaia di pazienti.

Tuttavia, considerando l’alta prevalenza di HCV in popolazione generale in Italia, per aumentare la diagnosi e il trattamento delle persone infette è necessario far emergere il sommerso, ossia quelle popolazioni che in termini epidemiologici sono le più rilevanti perché permettono la circolazione del virus. Proprio questo è lo scopo del convegno patrocinato da Regione Lombardia e da SIMIT – Società italiana di Malattie Infettive e Tropicali, organizzato con il contributo non condizionato di Gilead, che si tiene martedì 9 luglio a Milano presso la Sala Pirelli del Palazzo Pirelli “Epatite C: stato dell’arte e modelli per l’emersione del sommerso”. L’obiettivo è di spingere la popolazione colpita dal virus e talora ignara di aver contratto l’infezione all’eliminazione della malattia.

“Oggi abbiamo a disposizione farmaci per combattere l’Epatite C che sono così efficaci da assicurare nella quasi totalità dei casi l’eradicazione dell’infezione. In questo scenario bisogna allora individuare quali siano le popolazioni chiave nelle quali l’infezione si trova a circolare maggiormente e che quindi fanno da serbatoio dell’infezione”, spiega il Prof. Massimo Galli Presidente della SIMIT, con particolare riferimento ai tossicodipendenti per via endovenosa. Il Convegno AMIT-Epatite C vuole offrire un’opportunità di confronto tra specialisti specificamente dedicati alla diagnosi e cura dell’Epatite C e medici di medicina generale favorendo un approccio pratico e fattivo al problema. Verranno fornite indicazioni pratiche su come stabilire contatti e collaborazioni tra il medico di medicina generale e i centri prescrittori, al fine di facilitare l’invio dei pazienti al trattamento e la cogestione dello stesso tra medico di famiglia e specialista.

A CHE PUNTO SIAMO – A fine giugno risultavano in Italia oltre 185.000 trattamenti avviati e nella stragrande maggioranza già conclusi con successo. È giunto il momento per una spallata finale che porti all’eliminazione più vasta possibile del virus. Portare alla terapia il più possibile delle persone cronicamente infettate da HCV non è solo di fondamentale importanza per la salute individuale, ma può consentire, riducendo drasticamente la circolazione del virus ed eliminandolo in alcune categorie di pazienti, di porre le premesse della sua progressiva scomparsa dal Paese. Pur con qualche controversia, le stime del sommerso raggiungono cifre importanti, comprese tra le 100mila e le 240mila persone.

È quindi necessario metter mano a una seria valutazione, nella pratica clinica corrente, delle condizioni che potrebbero aver portato persone anche apparentemente asintomatiche per affezioni epatiche a contatto con il virus. Fondamentale, a questo scopo, è il ruolo che può essere ricoperto dal Medico di Medicina Generale, che quale primo attore a livello territoriale e detentore di un rapporto diretto con la popolazione, può concretamente favorire una reale presa di coscienza delle persone sull’importanza di accettare uno screening e individuare validamente le persone a cui proporlo.

I DATI DELL’EPATITE IN LOMBARDIA – In Lombardia si stima che al 2014 erano seguite presso i centri ospedalieri della regione circa 40mila persone con infezione da HCV. A marzo 2019 risultavano trattati, o in trattamento, più di 35mila pazienti. Si può quindi ipotizzare che, entro il 2020, si riuscirà a trattare tutti quelli che risultavano in carico ai centri. “Rimangono da trattare – spiega il Prof. Massimo Puoti, Direttore S.C. Malattie Infettive, ASST Grande Ospedale Metropolitano Niguarda – le persone non ancora inviati ai centri per il trattamento dai loro Curanti,le persone in carico ai SERT e i detenuti che non sono ancora stati trattati. Inoltre rimane da curare quella proporzione di persone con epatite C che non hanno mai fatto il test e non sanno di avere questa infezione”.