Il team Usa ha analizzato il genoma di 20 famiglie con casi di neuroblastoma e ha individuato, nella maggior parte di questi gruppi familiari, la stessa mutazione genetica: un’alterazione puntiforme al gene che regola la produzione del recettore ALK dell’enzima tirosina chinasi. Una conferma, puntuale e precisa, del sospetto di alterazione genetica che risale a 30 anni fa.La forma mutata del recettore – spiegano oggi gli esperti – induce una proliferazione cellulare senza sosta, che alla lunga finisce per scatenare il cancro. Il termine neuroblastoma, infatti, fa riferimento a un gruppo di tumori maligni dei primi anni di vita e riguarda le cellule nervose dei gangli simpatici: si tratta della terza neoplasia, per frequenza, dopo le leucemie e i tumori cerebrali, ed è responsabile del 15% di tutte le morti oncologiche in età pedriatica, con una probabilità di sopravvivenza inferiore al 40%. Ma gli scienziati sono ottimisti e ritengono che, in futuro, sarà possibile sviluppare nuovi test molecolari per diagnosticare la predisposizione genetica ad ammalarsi di neuroblastoma e che il recettore ALK potrebbe essere utilizzato come nuovo target per terapie ad hoc.