L’Alzheimer è una delle patologie più diffuse al giorno d’oggi, tanto da essere considerata come la malattia del secolo. Il Ministero della Salute stima la presenza di circa un milione di malati di demenza, con il coinvolgimento di circa 3 milioni di persone impegnate nella cura dei loro cari.

Ogni quattro secondi nel mondo viene diagnosticata una demenza e si ipotizza che questi numeri triplicheranno in 40 anni.
L’Alzheimer è una delle forme di demenza più diffusa ed è una malattia neurodegenerativa caratterizzata da un declino cognitivo che porta l’individuo a perdere la propria indipendenza. Colpisce, nella maggior parte dei casi, dopo i 65 anni e più frequentemente le donne. Le cure di cui il malato necessita richiedono interventi specialistici e il coinvolgimento di tutto il nucleo familiare.

La ricerca scientifica non è riuscita ancora ad isolare una causa specifica che porti all’Alzheimer. E’ possibile ipotizzare che dipenda dalla comparsa di placche che bloccano la comunicazione nel cervello. Tali placche potrebbero comparire in seguito ad un’alterazione del metabolismo di proteine, con il conseguente accumularsi di sostanze tossiche nel cervello.

È, inoltre, possibile isolare alcuni fattori di rischio che sembrerebbero correlati con la comparsa di demenze, quali il fumo, il diabete, l’inattività fisica, i disturbi dell’umore e la bassa scolarizzazione. Intervenire su questi fattori, significa agire sulla prevenzione e diminuire il rischio di comparsa dell’Alzheimer.

Non esiste una cura adatta per le demenze, tuttavia, è possibile rallentare il declino cognitivo con training adeguati che mirano al potenziamento delle risorse cognitive residue.

Gianni Lanari, psicoterapeuta cognitivo responsabile del Pronto Soccorso Psicologico “Roma Est” (www.pronto-soccorso-psicologico-roma.it), afferma che “l’allenamento del cervello, sotto forma di appositi “cicli di ginnastica mentale“, possa avere dei buoni effetti nel prevenire e nel rallentare il decorso della malattia. L’Alzheimer ha un esordio insidioso, con la comparsa di impercettibili dimenticanze comunemente attribuite alla vecchiaia”.

Sicuramente, il primo campanello d’allarme per l’individuo e i familiari è proprio il declino della memoria. L’individuo appare sempre più svogliato e non trae piacere neppure da attività che l’hanno appassionato per tutta la vita.
Con il progredire della malattia, compaiono anche disturbi del linguaggio e difficoltà di orientamento nello spazio. Questa fase centrale della malattia può durare anche diversi anni.
Nella fase terminale della malattia, l’individuo perde la sua indipendenza e la capacità di compiere anche gesti elementari da solo.

La famiglia viene coinvolta nell’intero processo. E’ molto alto il rischio di isolamento, per la difficoltà di uscire con il malato e per la vergogna, suscitata dai cambiamenti comportamentali che la malattia provoca.

Le difficoltà economiche delle fasce più basse della popolazione non sempre permettono l’inserimento di una figura di aiuto in casa, come una badante, e molto spesso il carico di cura pesa su un’unica persona. Le conseguenze emotive sul caregiver, ovvero colui che si prende cura del malato, sono enormi. Diminuisce il tempo per se stessi, per il proprio lavoro, per le proprie relazioni e per i propri interessi, con l’aumento del carico di lavoro relativo al paziente che diventa sempre più dipendente dagli altri anche nelle azioni quotidiane.