Nella galleria della Mediateca della Biblioteca Rispoli di Roma (piazza Grazioli, 4 – vicino piazza Venezia) sono esposte alcune significative riproduzioni di opere eseguite da militari italiani (I.M.I.) nei lager tedeschi dove furono internati dopo l’8 settembre 1943. Alcuni di loro, dotati di particolari qualità artistiche, cercarono di astrarsi da quella dura e tragica realtà realizzando, attraverso i pochi mezzi a disposizione, disegni o ritratti. L’arte nei lager fu un sostegno non solo per l’anima, ma anche materiale: spesso gli artisti internati barattarono con le sentinelle tedesche i loro lavori in cambio di qualche colore, un pennello, sigarette, medicinali, o scarse ma preziose razioni di cibo: una patata, un cucchiaio di grasso, un po’ di acqua bollente, un pezzo di pane, magari una cipolla, da dividere il più delle volte con i compagni meno fortunati. Queste opere, scampate alle perquisizioni e sopravvissute al fortunoso viaggio di rientro in patria, oltre ad avere un innegabile valore storico e documentario, testimoniano la forza che lo spirito creativo profuse nelle grigie atmosfere del campo, tra le baracche, dove il tempo dell’attesa si consumava crudele. A ispirare il titolo della mostra sono il verso di una poesia giovanile di Giacomo Leopardi e un disegno del pittore romano Walter Lazzaro: “La fame in gabbia”, realizzato nel 1943 nel campo polacco di Biala Podlaska.Nel percorso proposto trovano spazio anche riproduzioni di opere di Michelangelo Perghem Gelmi, Mauro Masi, Michelino Pergola e Giovannino Guareschi. Il loro anelito alla libertà è sottolineato dalla scelta di alcuni brani tratti da diari o memorie di ex internati. Come le parole di Francesco Piero Baggini, compagno di Michelangelo Perghem Gelmi: “l’arte ha vinto. L’arte supera le passioni, i partiti: l’arte vince ove la forza cede”. Al centro della galleria è stata posta una piccola gabbia aperta per simboleggiare la potenza liberatoria dell’atto creativo, il suo valore salvifico e di fuga. A terra ci sono patate e cipolle. Rappresentano il prezzo della fame, la “moneta” dei lager con cui quelle opere furono, spesso, pagate.